mercoledì, marzo 19, 2014

Semplicita` pomeridiane

Un sole pomeridiano magnifico illumina Torino da ore. Un bouquet radioso di raggi caldi impregnati del profumo della vita, del respiro, del battito di un cuore, di un sorriso sincero, di due occhi che - non potendo mentire - lasciano trasparire l`essenza dell`anima.

E` rincuorante assistere all`allungarsi delle giornate e alla gioia di un sole che ti accompagna fino alle ore inoltrate del pomeriggio.

Un venticello tiepido e leggermente sfrontato giocherella con le tende verdi dei balconi; con la biancheria stesa che - divertita - sventola come bandiere; con i rami di alberi ormai adornati di stupendi fiori.

Vado fuori, chiudo gli occhi e respiro...e respirando catturo la fragranza della citta` al pomeriggio.

Tutto profuma di linfa che pulsa, di sangue che scorre nelle vene, di idee che si mescolano e si rimescolano, di nuove energie e propositi.

Se da una parte la routine quotidiana porta conforto, dall`altra ti sottrae la voglia di inventare facendo qualche strappo alla regola che scandisce le nostre giornate.

Si perde la mano nelle cose a cui si ripensa, di tanto in tanto, con una certa nostalgia.

Era da tempo che desideravo rispolverare il mio rito pomeridiano del 抹茶 matcha e quale momento migliore se non questo sereno e profumatissimo pomeriggio quasi primaverile torinese?
La gioia del matcha in solitaria
Ho tirato fuori, dunque, la mia tazza da 野立て nodate, il mio 茶筅 chasen, il mio 茶杓 chashaku, un どら焼き dorayaki come dolcino e - naturalmente - il mio 抹茶 matcha.

Chissa` se ricordate questo mio post qui?

Per una persona, bastano un chashaku e mezzo di te` matcha versato direttamente nella tazza.


Si mette a bollire l`acqua e quando e` pronta la si versa in un`altra tazza (per smorzarne un po` il calore che potrebbe essere eccessivo), dopodiche` la si puo` versare nella tazza da matcha.

Fatto questo, si inumidisce con acqua tiepida il chasen e si e` pronti per mescolare accuratamente avendo l`accortezza di eseguire un movimento a forma di M e concludere con un movimento come se si dovesse tracciare, con le setole del chasen, l`hiragana の.

Mi sono accorta di aver perso un pochino la mano, ma la riacquistero`. Bastera` solo non far passare altro tempo.


Il matcha ha il sapore della natura, del fogliame, del fresco e del vero. Dona energia come il caffe`, ma senza la tremarella da caffeina.

Ho ritrovato molta serenita` in questa semplice preparazione e nel privilegio di poter sorseggiare questo buon te` dalla mia amata tazza coi bordi dipinti di cielo.

domenica, marzo 16, 2014

Amicizia con un cuore artistico

Mi piace paragonare il percorso di una vita umana a quello che compie l`alpinista mentre, col cuore e il corpo imbevuti di speranza e forza, affronta la strada che ha davanti a se`, senza tirarsi indietro.

Indubbiamente l`inizio della sua scalata e` pregno di emozioni quasi esaltanti, trepidazione, grande ed elettrizzante ansia, ma man mano che procede questi sentimenti periodicamente scemano lasciando il posto alla stanchezza, al dolore, forse alla rabbia, alla paura, alla voglia di arrestarsi.

Pero` si continua perche` si deve, perche` non c`e` altra strada da seguire se non quella che - con occhi traboccanti di sfida - ci aspetta davanti al nostro viso.

Ma l`alpinista e` un campione per il solo fatto di voler andare avanti.

E campioni siamo tutti noi che siamo ancora qua a raccontare la nostra storia e che - nonostante i turbini piu` violenti e spietati del nostro percorso - abbiamo preferito la nostra marcia, pianeggiante o in salita che sia, all`illusorio sollievo di un volo spiccato dai bordi spigolosi di una roccia.

Nel corso delle scalate, talvolta stremanti e altre volte pianeggianti e ristoratrici, s`incontrano persone assortite.

Alcune ci sfiorano solo le spalle; alcune altre entrano nella nostra esistenza soltanto con la punta di un piede riuscendo, nonostante la brevita` della loro presenza, a portare dietro se` bruttura e distruzione; altre ancora prendono una sedia confortevole e vi si siedono a cavalcioni, accomodandosi nella nostra vita con quella disinvoltura di chi si trova splendidamente a casa.

Ci sono persone, poi, che invece appaiono nella tua vita apparentemente dal nulla oppure come frutto di deliziosi e casuali (forse) incroci di coincidenze, portando dietro se` una scia di bellezza come tante collane di petali di gigli.

Questo e` proprio cio` che e` successo con lei. Dea.

Chiudo gli occhi e rivedo e rivivo tutto perfettamente.

Era primavera. La mia vita, sebbene ancora in cocci, stava lentamente lottando per ritrovare una parvenza di serenita`.

Era il 2011. Era una mattina che profumava di sole, di risvegli, di battiti al petto, di un caffe` bevuto di corsa, di foulard leggeri che si lasciano accarezza volentieri dal vento.

Ero sola su un treno che da Torino Porta Nuova mi avrebbe portata, stazione per stazione, a Piacenza dove lentamente sarebbe rinato il mio cuore. Solo che ancora non lo sapevo.

In quella mattina di sole, seduta in uno scomparto qualunque di un regionale veloce pronto a lasciarsi alle spalle Piazza Carlo Felice e Corso Vittorio Emanuele, ho ricevuto il regalo di un`amicizia con un cuore artistico.

Il suo viso brillante, forse inconsapevolmente, m`incoraggio` a scambiare due parole con lei.

Quel suo viso raggiante incorniciato da una cascata di bellissimi capelli biondi era cosi` bello da farmi pensare, forse scioccamente, che questa ragazza probabilmente fosse una modella in viaggio.

Non ricordo quasi nulla di quella conversazione. Ricordo solo che scesi io per prima, ma non prima di esserci scambiate un contatto.

Sapevo che Dea abitava a Torino e li` lavorava come psicologa.

Ma sapevo anche che lei era un`artista, una poetessa del colore.

Nella mia vita, spesso senza volerlo, mi sono accorta di galleggiare frequentemente nelle orbite degli artisti.
Forse, come sostiene il mio amico Salvatore, e` perche` c`e` affinita` di spirito e perche` ci accomuna una sensibilita` al sentito che inevitabilmente si ritrova spesso nel bello, nell`aggraziato.

Le conversazioni che capita di avere in treno, in aereo, in qualche sala d`attesa sono curiose perche` possono essere comprensibilmente superficiali oppure inaspettatamente profonde tanto da lasciare un`impronta, qualunque essa sia.

La superficialita` e`, come gia` menzionato, comprensibile: d`altra parte ci si trova in un luogo non-luogo dove non si puo` far altro che aspettare. E allora, giacche` si aspetta, perche` non aspettare leggendo - piu` o meno pigramente - un libro oppure scambiando due parole con chi si trova a dover aspettare come noi?

La profondita` in una conversazione con estranei, sebbene inaspettata, e` altresi` comprensibile perche` senza accorgercene pensiamo al fatto che tanto non rivedremo piu` quella persona e quindi cadono a terra le maschere e le commedie vanno fuori scena.

Non ricordo su cosa fosse quella conversazione con Dea, su quel treno per Piacenza in quella mattina di sole primaverile. Solo qualche sprazzo qua e la`: vita a Torino, Giappone, argomento lavoro, dipingere, viaggiare.

A poca distanza, credo, dal nostro incontro su quel treno, andai a trovare Dea nella sua casa qui a Torino. Mi aveva invitata a cena e io, con molta emozione e una certa dose di timidezza, accettai.

Ma quella fu la prima e l`ultima volta.

Fino a gennaio del 2014 quando, con la magia delle cose che sembrano avvenire per caso ma che in realta` seguono una traiettoria specifica, Dea mi chiamo`.

Venni a sapere che aveva uno studio a poca distanza, in linea d`aria, da casa mia.

Scegliemmo un giorno e l`andai a trovare.

Bella Dea. Bella, con quel suo viso sempre radioso e con quegli occhi che incoraggiano.

In compagnia di un buon caffe`, di una fetta di pandoro meravigliosamente soffice e dolce, il profumo della sua arte, dei suoi colori, dei suoi pennelli e della sua creativita` e` rifiorita la nostra amicizia.

In un mattino soleggiato, in uno studio d`artista, a Torino.

In lei ho trovato le definizioni di umilta`, di delicatezza, di talento, di grazia, di generosita` e bell`anima.

E` bastato molto poco, da quella mattina di sole impreziosita dal suo sorriso, da un buon caffe` e pandoro nel suo studio, per capire che Dea sarebbe diventata un`amica preziosa e una persona importante nella mia vita.

Importante perche`, come abbiamo avuto modo di constatare insieme, in qualche modo riusciamo ad arricchirci vicendevolmente. In sua compagnia, il tempo scivola via come la sabbia quando si cerca d`imprigionarla in un pugno.

Fra lei e me, oltre a questa bella e solare amicizia, e` nata la voglia di collaborare in progetti vari e da cui - ne sono certa - trarremo tanta forza e voglia di fare!

Uno di questi progetti nasce dalla mia volonta` di dare spazio qui su Biancorosso Giappone e su Dadakko-ya ad alcune sue opere ispirate al Giappone.

Prima di lasciare la parola colorata e delicatamente dolce alle sue pennellate nipponiche, ecco qui il suo sito: www.deabelusco.it

Le opere sono naturalmente originali e ognuna e` un pezzo unico.

I disegni misurano 40cm x 50cm e costano 60 euro l`uno.

La sua collezione, chiamata Kokke, dedicata alle bambole こけし kokeshi:

Kokeshi verde

Kokeshi con ombrello

Kokeshi con momiji fuchsia 
Alcuni disegni sempre ispirati alle maiko, al kabuki, all`arte tradizionale del Giappone. Lasciate che queste pennellate cosi` cariche d`amore vi accarezzino gli occhi.





Per maggiori informazioni sui disegni di Dea Belusco, contattatemi direttamente all`indirizzo biancorossogiappone @ yahoo. it

Per finire, una scultura che e` deliziosamente Dea:
Questo cavallo e` alto 40cm e il prezzo e` di 500 euro.

www.deabelusco.it ♥

domenica, marzo 09, 2014

Luna di mela

Vorrei poter dare un nome alla matassa di pensieri che s`intrecciano ingarbugliati nella mia testa, ma tutto cio` che posso fare e` trattenere - con tutte le mie forze - i piu` belli sperando che resistano alla tentazione, per loro cosi` ammaliante, di liquefarsi nel vento.

Con passo volutamente lento, stavo ritornando a casa questa sera e mentre camminavo osservavo il mondo che va oltre quello che troviamo al livello degli occhi. Quel mondo che trovi stando con il naso all`insu` e con i piedi a continuo rischio d`inciampo.

Il solo atto di camminare diventa, con la dovuta attenzione, fonte di insegnamento sulle cose dell`esistenza.

Si cammina con occhi aperti ma che spesso sono chiusi. Si cammina pensando alle tante, troppe cose che costellano la propria vita quotidiana saltando a pie` pari il presente, ossia quell`istante che stiamo vivendo e che non tornera`.

Menti proiettate verso il dopo, il futuro, il questa sera o il domani pomeriggio che pero` si perdono l`irripetibile magnificenza del momento in cui sono.

Il mio passo, forse esasperatamente lento, faceva da benefico freno perche` mi costringeva a non perdermi la preziosita` dell`istante per preferirla all`aura effimera di un futuro che magari non arrivera` mai.

Un cielo malinconicamente zaffiro accoglieva con tenerezza e gelosia una Torino a tratti silenziosa e a tratti effervescente, creando l`illusione di un tulle cobalto dietro cui brillava il riverbero della notte.

L`aria, ormai gia` da qualche giorno, sa di umanita` che vive; di risveglio graduale ma deciso; di sangue che scorre libero nelle vene; di me mentre mi affaccio pigramente in riva al Po e lascio cadere a penzoloni le braccia dalla ringhiera di pietra; di un sole sfolgorante che pennella d`oro la superficie in apparenza ferma del vecchio fiume.

In quella regale gradazione di blu, tra i patrizi palazzi di una Torino che di notte sembra sfoderare la sua veste piu` signorile ecco brillare una solenne luna di primo quarto.

Un perfetto spicchio di mela tagliato di netto che, come un prezioso gioiello, sigilla quel tulle cobalto da cui e` avvolta questa bistrattata, stremata, ma sempre signorile Torino.

domenica, marzo 02, 2014

Cerchi di esistenza

Voglio scrivere di un pomeriggio, un pomeriggio che in realta` era come tutti quelli che lo hanno preceduto e quelli che lo hanno seguito.

Anche quella volta il giorno diede il cambio all`oscurita`, il sole alla luna, le strade vive di vita alle strade solitarie della notte.

Il quotidiano faceva il suo dovere e ogni cosa, nel bene e nel male, era al suo posto.

Ma credo che dentro di me quel giorno ci fosse una desolazione simile a quella del deserto del Nevada che, per migliaia di miglia, accompagna il viaggiatore inizialmente ammaliato ma poi inesorabilmente tediato dal susseguirsi senza fine di sterpaglia.

Credo che quel giorno le mie gambe si muovessero per abitudine e non tanto perche` ci fosse bisogno di muoversi.

Non penso che quel pomeriggio rappresenti l`apice del mio dolore, ma certamente potrebbe pretendere il secondo posto sul podio.

Era il periodo in cui pensavo di aver perso tutto. Penso che se mi fossi vista dall`esterno avrei probabilmente gridato dallo sgomento nel realizzare che quel guscio con occhi, bocca, gambe, braccia aveva solo una mia parvenza ma non ero io di certo.

Ero sola in una casa che scelgo di non ricordare. Ero circondata a trecentosessanta gradi da un odore fastidioso di cose vecchie e maltrattate, di un fumo che non mi apparteneva, di stantio, di oggetti pregni di pianto, di ricordi pesanti, di parole malvagie.

Ero in una casa che, per alcuni bui e tetri istanti, ho quasi sperato diventasse la mia tomba.

Era stato teatro del mio baratro, del mio smarrimento fisico e mentale, di una mia tentata capitolazione che pero` non e` avvenuta perche` il desiderio di vita - la sopravvivenza a ogni costo - riesce ad avere la meglio anche quando l`abisso ha perso le sue tonalita` verdiblu per vestirsi di violanero.

Il dolore dentro di me viaggiava sulle ali di quello stesso vento che soffia sulla sterpaglia dell`interminabile Interstate 15 che unisce in un lungo abbraccio di cemento la California e il Nevada, fermandosi solo in presenza di qualche forma di vita.

Ma il dolore piu` era intenso e piu` ardui e patetici diventavano tutti i tentativi di vocalizzazione.

Avevo male e non sapevo dove trovare conforto. Mi sono sentita cosi` sola e cosi` sconfitta che qualunque direzione sarebbe andata bene. Era come trovarsi a un bivio su cui svetta un palo con appiccicati centomila cartelli con frecce che indicano un`infinita` di destinazioni.

Ma io non sapevo dove andare e nemmeno m`importava, a dirla tutta.

Ancora non cercavo Dio, anche se come tutti gli esseri umani quando si trovano ad attraversare la strada del dolore, anch`io Lo avevo implorato affinche` ponesse fine a quel tormento.

Fu cosi` che - non so nemmeno io ne` perche` ne` come - decisi di lavarmi la faccia, raccogliere i miei capelli disordinati in una coda frettolosa ma severa ed educatrice, mettermi le scarpe, infilarmi una giacca e uscire da quella casa che penso gioisse nel vedermi affondare.

Con quella porta scura e ammaccata chiusa alle spalle, mi sembrava di potercela di nuovo fare.

Iniziai a camminare, senza avere una meta. Credo di aver vagato per un lasso di tempo non facilmente quantificabile, ma poco importava.

Ero in un quartiere realmente anonimo, privo delle gradevolezze visive e delle coccole artistiche che adornano in genere i centri storici italiani. I miei occhi non sapevano a cosa appigliarsi, se non alle facciate scialbe di edifici incolori e malinconiche insegne al neon che sembrano comici intenti a intrattenere un pubblico inesistente.

Forse inconsciamente o forse no, arrivai ad una libreria di cui conoscevo l`esistenza ma che - fino a quel pomeriggio uguale a tanti altri - non avevo mai visitato.

Era la libreria Mondadori di Via Digione 23, a Torino.

Vi entrai trafelata e disorientata.

Iniziai a osservare famelica i titoli esposti, senza sapere cosa stessi cercando perche` non cercavo nulla in particolare.

Ero li` perche` soffrivo e in quel momento quella libreria mi sembro` un`oasi, un punto di ristoro spirituale, una sorgente dissetante e terapeutica.

Ho un ricordo sfocato del tempo trascorso dentro la libreria, ma ricordo chiaramente invece di esserne uscita con in mano un libricino intitolato "Lo zen del gatto" di Ludovica Scarpa. Lo vedete in un paio di foto qui, in questo mio articoletto dell`anno scorso.

Quel libricino, con le sue delicate parole e dolci illustrazioni, fu come un abbraccio in un pomeriggio in cui dentro di me sanguinavo a profusione mentre, tutto intorno, il mondo procedeva coi suoi soliti e inesorabili passi.

Sapete, Torino era un tempo la citta` italiana che vantava il maggior numero di case editrici e di librerie. Adesso le cose sono un po` cambiate (in peggio), ma gli angoli di carta sono ancora molti.

Tanti. Tantissimi.

Eppure, eppure...quando una coincidenza deve accadere lo fa senza tanti scrupoli e nemmeno tante moine.

Quando ho scoperto, infatti, che la presentazione del libro Tokyo Orizzontale di Laura Imai Messina  sarebbe stata tenuta proprio li` io, beh, ho sentito una stretta stritolante al cuore.

La presentazione era oggi.

E io, in quella libreria, non ci ero piu` tornata da quel lontano e normalissimo pomeriggio.

Ma non potevo mancare.

Del lavoro e una pioggia testarda mi hanno portata all`evento quando questo ormai era finito, ma sono riuscita ad andare a conoscere Laura, scambiare con lei due parole, acquistare il suo libro su cui mi ha lasciato una dedica non casuale e che poi forse vi riportero`.

Mi sentivo disorientata, ma con nel cuore una fiammella confortante.

Le parole di Laura sono state benefiche, dolci e non scelte a caso. Erano li` per me.

Quando poi ha consigliato ai presenti il mio blog dicendo che sono una persona molto giapponese, avevo il cuore che batteva forte ma al contempo mi sentivo serena.

Un paio di foto, un saluto di congedo che avrei voluto rimandare, e via di nuovo per le strade scure di quell`anonimo quartiere torinese, bagnato da una pioggia capricciosa e inconcludente.

Ma prima di andarmene, mi sono guardata intorno e ho immaginato di rivedere la Marianna di quel pomeriggio qualunque mentre, con la sterpaglia desolante nel cuore, cerca conforto in un mondo di carta e parole.

Oggi, in quella libreria, ho chiuso un mio cerchio.