sabato, luglio 31, 2010

Mille pensieri ed un arrivederci

Questo aggiornamento di oggi era in cantiere da qualche settimana ormai, ma solo ora riesco a portarlo finalmente a termine.

Ci ho impiegato un po` perche` poco e` stato il tempo libero a disposizione, ed altrettanto poca e` stata la voglia di scrivere. Scrivere avrebbe significato ritrovarmi faccia a faccia con alcune preoccupazioni che mi facevano male e che - anche se solo per poco tempo - ho preferito astutamente dribblare. Mi scuso dunque per non aver risposto diligentemente a tutti i commenti delle ultime settimane.

Ci sono alcune novita` molto importanti che vorrei condividere con voi.

Fra pochissimo lasceremo temporaneamente il Giappone. A mio marito e` stato assegnato un trasferimento provvisorio e che ci portera` ancora una volta in giro per il mondo.
In un secondo tempo vi diro` dove andremo.

Sebbene questo nuovo trasferimento sara` provvisorio, ha comportato e comporta dei cambiamenti non indifferenti e che hanno causato ansia, dolore, e preoccupazioni.

Ritrovo pero` conforto in questa temporaneita` che ci riportera` di nuovo qui in questo bel Giappone, la mia seconda ed amata casa.

A parte questa prima ed amarognola novita`, le altre invece sono decisamente piu` liete!

Seconda novita`: verso meta` agosto saro` a Torino, la mia adorata citta` natale. Ne approfittero` per far visita alla mia famiglia e trascorrere con loro un po` di tempo. Sono molto molto emozionata al pensiero di rivedere le persone e i luoghi a me cari, e il senso di gratitudine che provo mi fa sorridere di felicita`.

Se fra voi che leggete il blog c`e` qualcuno che ha piacere di organizzare un incontro fra i lettori di Biancorosso Giappone, nonche` una serata dedicata un po` al Giappone in generale, mi scriva per cortesia un`email oppure mi lasci un commento qui. Sarei felicissima ed onorata di poter conoscere anche solo qualcuna delle persone che con pazienza ed interesse hanno seguito il mio blog e i miei racconti di vita quotidiana nipponica.

Terza novita`: molti di voi indubbiamente ricorderanno il bazar, quel negozietto che ho gestito per circa un anno e mezzo tramite il blog e attraverso cui ho venduto, a tutta Italia, centinaia di oggetti giapponesi vari tipo bentoo-bako, bacchette, accessori vari per bento, vasellame, furoshiki, ecc.
Ebbene, miei cari lettori e lettrici, il bazar ritornera` in grande stile probabilmente verso la fine di dicembre!
Anche se non posso anticiparvi troppo, vi diro` che non sara` piu` un bazar casalingo, ma sara` un vero e proprio e-commerce che gestiro` in societa` con Sakura.
Ci specializzeremo nella vendita di oggetti giapponesi tradizionali e di qualita`. Siamo gia` in collaborazione con un maestro artigiano giapponese e che produce - a mano e ancora secondo le antiche tecniche tradizionali - il tatami.
Se si fara` questo incontro fra i lettori di Biancorosso Giappone, parleremo anche di questo progetto molto importante e che ha bisogno soprattutto dei vostri suggerimenti per poter andare nella direzione giusta. Naturalmente, pero`, i vostri consigli e pareri saranno ben accetti anche tramite i commenti o via email.

Quarta novita`: inaspettatamente mi e` presentata un`elettrizzante ed importante possibilita` di lavoro qui in Giappone e di cui vi parlero` meglio in seguito. Si tratta di un`opportunita` molto allettante e che pero` dovro` valutare nei minimi dettagli. Comunque sia, nel frattempo questa prospettiva mi riportera` con una certa frequenza qui nel Sol Levante, cosa che non puo` che rallegrarmi infinitamente.

Quinta novita`: ancora alcuni ritocchi finali qua e la` e a breve verra` pubblicato il mio primo libro. Sara` una raccolta molto speciale dei ricordi piu` preziosi del Giappone e che includera` anche del materiale inedito.
A questo emozionante progetto stanno collaborando, per la parte tecnica, mio marito e Deborah Soglia. Devo ad entrambi tutta la mia gratitudine.
Non appena il libro sara` pronto, aggiornero` questo blog con tutte le informazioni necessarie per l`acquisto.

Tanta gratitudine la devo anche a voi che che mi seguite con cosi` tanto entusiasmo da tempo.

Ma gli addii m`incupiscono piu` di quanto immaginiate, ed e` per questo che preferisco un sayoonara temporaneo, un arrivederci a prestissimo, un ciao accompagnato da un sorriso.

Presto postero` un aggiornamento qui sul blog quindi questo non e` un addio. No, non lo e`.

Anzi, preferisco chiudere come faccio spesso e cioe` augurandovi un buon fine settimana.

venerdì, luglio 16, 2010

Tsubaki-abura: una vecchia saggezza

(A sinistra: il mio botticino di olio di camelia. Tutte le foto di questo articoletto sono opera mia).

Non esiste un metodo preciso con cui avvicinarsi ad una cultura e prenderla per mano.

Si comincia con quel briciolo di curiosita' sincera e ci si ritrova avvolti in un interesse profondo e costante che da' vita ad un'insaziabile sete di sapere.

E quella sete aumenta alla stessa velocita' con cui aumentano le nuove esperienze.

Spesso ci si avvicina ad una cultura grazie a dei libri, ad una cucina che ci piace, a dei film particolari, a delle canzoni preziose, o a dei cari amici. Oppure alle volte e' un viaggio inaspettato a seminare in noi quella fiammella di curiosita' che poi si tramutera' in passione.

Approfondire una cultura diversa dalla propria non significa seguire per forza un itinerario ben preciso e che ci conduca dal punto A al punto Z; anzi, a dirla tutta, lo stesso vale per la propria di cultura e che spesso non si conosce mai abbastanza.

Ognuno trova da se' una strada che lo affascina e inizia a percorrerla, un passo per volta. Ogni tanto si fermera' ad esplorare una o piu' delle tante, tante diramazioni di questa strada.

Non saprei spiegarvi dettagliatamente tutto il percorso che ho compiuto io fino adesso. So pero' che fin dall'inizio mi sono lasciata prender per mano e trasportare dall'affetto che ho per il vecchio Giappone.
Pensare che io non nutra interesse alcuno per il Giappone moderno e tutti quegli elementi ad esso legati come la tecnologia, i videogame, i manga, gli anime, la moda e via dicendo, non corrisponde al vero. Anche quelle sono strade - o forse diramazioni che partono dalla mia - e che ogni tanto mi piace esplorare.
Sono pero' appunto diramazioni e in esse non mi soffermo a lungo perche' poi ritorno sul mio corso principale e riprendo il mio cammino.

Il profondo rispetto e l'indescrivibile passione per il Giappone tradizionale mi hanno portata a conoscere un po' il carattere dei giapponesi ed il loro presente. Ma da sapere c'e' ancora tanto o, come diceva una mia professoressa di tedesco, di acqua sotto i ponti ne deve ancora passare molta.

E allora, dopo essermi fermata a riposare un attimo, mi rialzo e riprendo il mio percorso.

Infinitamente affascinanti sono, ad esempio, i vecchi segreti di bellezza delle donne giapponesi perche' quelle astuzie e quei trucchetti in fondo si basavano sui principi di un'elegante frugalita' che ancora oggi - a dispetto del nuovo consumismo e della corsa all'avere e non all'essere - in fondo in fondo fanno parte del DNA nipponico.

Uno di questi segreti di bellezza e' l'olio di camelia, un prodotto puro e rispettato per le sue eccellenti proprieta' idratanti e rigeneranti.
Da secoli e' il segreto che si cela dietro le proverbiali e lucenti chiome corvine delle donne giapponesi. In vecchissime stampe ukiyo-e appaiono spesso bellissime donne con i loro meravigliosi capelli neri accuratamente idratati proprio grazie all'ausilio dello 椿油 tsubaki-abura, cioe' olio di camelia.

Quello che vedete nelle foto e' il mio olio di camelia preferito. Si dice che il migliore provenga da Ooshima, nella Prefettura di Tokyo, dove da secoli si coltivano le camelie per uso prevalentemente cosmetico, ma anche gastronomico. Quest'olio, infatti, viene usato anche come raffinatissimo condimento in cucina; l'olio di camelia per uso alimentare pero' e' terribilmente costoso e quindi non molto diffuso.

Si dice anche che siano le donne di Ooshima ad avere le piu' incantevoli chiome di tutto il Giappone!

Proprio ad Ooshima c'e' un'azienda che produce quest'olio in vendita su tutto il territorio nazionale e anche all'estero (su Internet e' facilmente reperibile tramite Amazon).

Pero' qualche tempo fa, in vista dell'ondata di caldo e di umidita', mi sono ritrovata per le corsie di un supermercato a curiosare fra i prodotti alla camelia per i miei ribelli capelli ricci.
In passato avevo gia' provato il celebre olio Ooshima (il prodotto prende il nome dalla sua zone d'origine), e avrei voluto ricomprarlo, ma non ce n'era piu', e cosi' ho pensato di provare qualche altra marca.

Purtroppo in commercio - soprattutto su Internet - circola molto olio di camelia di provenienza cinese che pero' viene etichettato come prodotto giapponese. Sebbene anche la Cina abbia un antico legame con la camelia, molte aziende cinesi hanno velocemente approfittato del crescente interesse verso il Giappone producendo un'olio di camelia con metodi sospetti e che, visti i prezzi generalmente troppo bassi, riflette una qualita' forse scadente.

Guardando meglio tra gli scaffali, ho scoperto un olio di camelia prodotto da una vecchissima ditta con sede a Tokyo, di nome 本島椿 Hontoo Tsubaki.
E' un olio di cui i miei capelli sembravano aver disperatamente bisogno. L'effetto crespo che solitamente mi perseguita nei periodi piu' caldi dell'anno e' quasi del tutto svanito!
I capelli sono ora lucidi, morbidi, ma non unti.
Faccio come facevano le donne di una volta, e aggiungo qualche goccino d'olio anche sul mio pettine di legno in modo che questo assorba il prezioso liquido e possa quindi continuare a nutrire i miei capelli, anche da asciutti.

Pur essendo un prodotto di una volta, l'olio di camelia continua a rimanere un irrinunciabile prodotto di bellezza anche adesso. Le ragazze delle nuove generazioni fanno scorte di prodotti l'Oreal, Garnier, o Vidal Sassoon, pero' ad un tocco di camelia non rinunciano neppure loro. Pare che persino alcuni uomini lo utilizzino!

Alcune grandi case cosmetiche da tempo cercano di sfruttare un po' questo amore per lo tsubaki-abura creando prodotti a base di questo antico ingrediente. La Shiseido, ad esempio, gia' da anni vende una linea per capelli e che si chiama proprio Tsubaki.
Ecco qui il mio shampoo Tsubaki nel flacone rosso, ed un altro trattamento (di un'altra marca) sempre alla camelia.
Sono prodotti di qualita', ma alla fin fine non c'e' nulla di meglio del vero e puro tsubaki-abura.
L'olio di camelia non e' solo un toccasana per i capelli, ma e' ottimo come olio per il corpo da usare prima del bagno o la doccia; come trattamento idratante per pelli molto secche; come trattamento anti-smagliature; come idratante per le labbra; e come olio per cuticole.

Per i capelli si puo' usare sia come impacco pre-shampoo, oppure come trattamento anti-crespo sui capelli puliti e gia' asciutti (in questo caso ne bastano pochissime gocce).

Lo tsubaki-abura e' un elemento considerato molto wa perche' ha radici antiche e che dimostrano l'affidabilita' di certe vecchie saggezze.

Il ritorno allo stile di vita tradizionale e' un fenomeno che sta pian piano riemergendo qui in Giappone, attraverso articoli di giornale, libri e trasmissioni.
C'e' un ritorno alle cose di una volta, come il furoshiki al posto delle borse di plastica; i kanzashi al posto degli elastici; i bento-bako di legno al posto di quelli di plastica; l'utilizzo di delicatissimi profumi in pasta giapponesi al posto di quelli classici europei.
Ho un libro di questo genere in cui l'autrice invita tutti ad adottare qualche piccola abitudine tradizionale giapponese, senza sentirsi necessariamente vincolati dalle rigide regole che governano varie discipline antiche come la cerimonia del te', la cerimonia dell'incenso, oppure l'utilizzo di furoshiki, kimono, yukata, ecc.

Mi piace molto lo stile informale e rilassato di 金子由紀子 Kaneko Yukiko, questa scrittrice la quale, attraverso un linguaggio moderno e al passo coi tempi, incoraggia le nuove generazioni ad abbracciare i tesori di una volta. Magari un giorno vi parlero' in modo piu' approfondito di questa sua opera.
Il vecchio Giappone e' un passato che pur non appartenendo al mio passato, fa ormai ed indissolubilmente parte del mio presente.

giovedì, luglio 15, 2010

O-toofu-ryoori e Nakamura Kiharu

(A sinistra: alcuni piatti che ho preparato per cena, venerdi' scorso. Tutte le foto di questo articoletto sono opera mia).

Per tanto, tanto - anzi, troppo - tempo ho pensato che il tofu altro non fosse che sinonimo di blocchi biancastri di una sostanza semi-solida e dal sapore blando quasi inesistente.

Ero solita guardare il tofu con una certa diffidenza, considerandolo una stranezza esotica che piaceva soltanto ai vegetariani. Anzi, una stramberia indefinita che probabilmente non piaceva neppure, ma che a causa delle solite e barbose motivazioni modaiole, ci si sforzava di apprezzare a tutti i costi.

L'avevo assaggiato qualche volta, e con una certa svogliatezza, in qualche ristorante cinese dove veniva immancabilmente saltato e risaltato per poi venir coperto e ricoperto di salsine e salsette assortite.

Mi sembrava l'alimento piu' insulso del mondo. Non capivo come fosse anche solo possibile diventar golosi di un qualcosa che di per se' non aveva sapore e che doveva per forza dipendere da altri ingredienti per riuscire ad acquisire un gusto, per quanto leggero.

Insomma, trovavo il tofu tanto appetitoso quanto un pezzo di cartone.

E piu' lo vedevo preparare e piu' mi convincevo dell'assoluta inutilita' di questo alimento che alcuni si ostinavano a chiamare formaggio di soia, facendomi ancora di piu' arrabbiare dato che tra tofu e formaggio esiste solo una vaga somiglianza esteriore.

Pensavo alle meraviglie del vero formaggio.
Pensavo ad incanti gastronomici come il Parmigiano Reggiano, il Castelmagno, la Fontina, la Toma Piemontese, il Gorgonzola, il Quartirolo, l'Asiago, il Caciocavallo Silano, il Pecorino e molte, molte, molte altre delizie.

E poi pensavo al tofu...e mi sentivo pervadere da una sensazione di tristezza infinita.

Era come passare da un sublime bicchiere di Flocco del 2000 (Fattoria Poggio a Poppiano) a del Tavernellaccio versato in un bicchieraccio di plasticaccia.

Ecco, la sensazione era quella.

Dopo aver dato al tofu ancora qualche possibilita', decisi di chiudere definitivamente con questo formaggio dei miei stivali.

Ma spesso nella vita accadono cose che - fortunatamente - cambiano i nostri gusti e il nostro modo di pensare, ribaltando radicalmente convinzioni che fino a quel momento erano state storicamente granitiche.

Per me quel qualcosa e' stato il Giappone, Paese dove ho avuto la fortuna ed il privilegio di assaggiare decine e decine di varieta' di tofu e il che mi ha permesso di capire il mio errore di fondo, e cioe' che sbagliavo nel voler per forza paragonare il tofu al formaggio; d'altra parte sono alimenti diversissimi fra loro e che appartengono a categorie altrettanto differenti.

Ci si fa ingannare dalla somiglianza fra i metodi di preparazione, e quindi poi e' facile cadere nella trappola del paragone fallace, proprio come e' successo a me.

Su Internet esistono alcune fonti attendibili sul tofu e sulla sua lunga e gloriosa storia, quindi preferisco segnalarvi queste pagine anziche' stare qui a ripetervi tutto.
A dire il vero, pero', le fonti affidabili che mi sento di consigliarvi sono pochissime. Eccone alcune:

History of Tofu (in inglese)
豆腐の歴史 Toofu no rekishi - La storia del tofu (in giapponese)
History of Tofu - versione in inglese del link qui sopra
豆腐将軍 Toofu shoogun (in giapponese)

Oramai per me il tofu non e' piu' sinonimo di blocco biancastro di una sostanza semi-solida dal sapore quasi inesistente.
Non e' piu' un ingrediente da ficcare a forza nei piatti, giusto per approfittare del suo apporto proteico e basta.
Non e' piu' un ingrediente misterioso e che bisogna a tutti i costi pacioccare e mascherare fino a farlo diventare cio' che non e'.

Per me il tofu ora e' piu' di un semplice alimento. E' un dono della storia antica. E' una gustosa testimonianza dei viaggi compiuti dai monaci buddisti giapponesi in Cina, nel distante Periodo Nara.
E' una sublime delizia che regala il meglio di se' quando e' puro.

Venerdi' scorso Fusae-san e' passata velocemente a trovarmi e mi ha portato una busta colma di galuperie (splendido termine piemontese - da pronunciare con la u francese - che significa golosita') provenienti da una 豆腐屋さん toofuya-san (bottega di tofu) di Yamato, di nome 桜井 Sakurai.

Sakurai e' in attivita' da generazioni, e il suo orgoglio piu' grande sta nell'origine della sua materia prima: i fagioli di soia o 大豆 daizu, come vengono chiamati in giapponese, sono solo ed esclusivamente di coltivazione nipponica.

Tra le squisitezze c'era questo freschissimo ゴマ豆腐 goma-doofu*, tofu aromatizzato al sesamo.
Il divino goma-doofu servito al naturale, condito semplicemente con una punta di wasabi.
*Col termine goma-doofu s'intende anche un'altra celebre specialita' della cucina shoojin: una sorta di tofu (chiamato cosi' solo perche' ne ricorda la consistenza) non a base di fagioli di soia, ma preparato con acqua, pasta di sesamo e fecola di kuzu (o kudzu).

Un semplice ma gustoso okazu a base di konnyaku, peperoncino rosso giapponese, striscioline di aburaage (tofu fritto). Questo era cosi' buono che ho dovuto costringermi con la forza a richiudere la confezione e ad aspettare che arrivasse l'ora di cena.
Ed eccolo qui servito a tavola, nel piattino blu:
C'era anche questo magnifico 切干大根 kiriboshi-daikon, ossia striscioline essiccate di rapa cinese (daikon) fatte cuocere in umido con salsa di soia, dashi, zucchero, e aburaage.

Dei leggerissimi blocchetti di 厚揚げ atsuage* (tofu fritto) e che io ho condito con del ネギ味噌 negi-miso, cioe' pasta di miso aromatizzata al porro.
*L'atsuage non e' da confondere con l'aburaage. Il primo si prepara facendo semplicemente friggere dei blocchi di tofu fresco, mentre il secondo si prepara usando del tofu che prima andra' appiattito fino a farlo diventare cosi' (la foto e' di mia proprieta').

Un delicatissimo 卯の花 unohana, un celebre piatto giapponese il cui ingrediente principale e' l'okara おから, ovvero il residuo color bianco panna che rimane dopo la preparazione del latte di soia. Se avete gia' avuto esperienze di latte di soia / tofu autoprodotti, allora sicuramente vi sarete ritrovati con discrete quantita' di okara.
Ebbene, uno dei piatti piu' poveri della cucina giapponese, nonche' uno dei piu' deliziosi, e' proprio l'unohana che si prepara facendo cuocere l'okara con carote tagliate fini, cipollotti, dashi, salsa di soia, olio di sesamo. Esistono comunque varie versioni, una piu' invitante dell'altra!
Ed ecco l'unohana in fondo a destra, nel piattino ovale:
E per finire, la vera verissima star della serata: lo 湯葉 yuba. Il mio dizionario traduce questa parola con "foglio di caseina di soia".

In soldoni, si ottiene facendo scaldare del buon latte di soia e sulla cui superficie - proprio come avviene con il latte vaccino - si formera' una pellicina che andra' poi delicatamente rimossa. Ecco, quella pellicina e' lo yuba, nonche' una vera galuperia giapponese, in particolar modo della cucina di Kyoto.

E' un prodotto talmente delicato che va non solo consumato in giornata, ma addirittura entro poche ore dalla produzione. Questo e' uno dei motivi per cui nei supermercati non si trova quasi mai (si trova lo yuba essiccato, ma non e' la stessa cosa), e bisogna pregare i Santi per riuscire a procurarsene una vaschetta.
Generalmente e' sufficiente pero' rivolgersi ad una toofuya-san, magari una di quelle piccole e di quartiere, e lo yuba e' quasi garantito!

Immaginate quindi la mia contentezza nel veder spuntare da quella borsa una vaschetta di yuba preparato nemmeno due ore prima!
Esistono mille ricette che hanno come ingrediente principale lo yuba, ma i puristi della cucina giapponese consigliano di gustarlo al naturale, condito soltanto con un po' di わさび醤油 wasabi-jooyu, cioe' salsa di soia mischiata ad una punta di wasabi.
Non a caso, anche Fusae-san si e' raccomandata affinche' assaggiassi questo freschissimo yuba in quel modo, e senza inutili pasticci. Perche' rovinare una delizia cosi' deliziosa??

Ho dunque servito lo yuba con il wasabi-jooyu a parte. Come guarnizione ho usato due umeboshi succose la cui acidita', secondo me, si sposa alla perfezione con la cremosita' dello yuba.
La delicatezza vellutata dello yuba e' un'esperienza papillare di cui non bisognerebbe privarsi, almeno per una volta nella vita.

Il sapore del latte di soia giapponese piu' fresco e piu' genuino e' uno di quei lussi - anche se si tratta di un lusso dalle umilissime origini - che auguro a tutti voi di provare almeno una volta. Almeno una. Dico davvero.

Mi piace mangiare e non lo nego. Anzi, non lo nega neppure la mia linea che sta a testimonianza spietata della mia passione per la buona tavola. Eppure raramente vado in estasi per un cibo.
Certo, ci sono numerosi piatti che solo a rievocarli col pensiero mi mandano in brodo di giuggiole, ma in fin dei conti sono pochi quei cibi che posseggono la capacita' di farmi perdere per un attimo il contatto con cio' che mi circonda. Ecco, lo yuba e' uno di questi.

Vorrei concludere per oggi raccontandovi molto velocemente un piccolo fatto curioso capitatomi due giorni fa.
Dopo essermi finalmente decisa a leggere un'autobiografia in giapponese, ho consultato Amazon Japan nella speranza di trovare cio' che cercavo e ad un prezzo allettante.
Da mesi ormai mi frullava per la testa l'autobiografia di 中村喜春 Nakamura Kiharu, intitolata 江戸っ子芸者一代記 Edokko geisha ichidaiki, cioe' la biografia di una geisha di Tokyo.
Eccola qua:

Edokko - letteralmente figlio di Edo (l'antico nome di Tokyo) - e' un titolo di cui si fregiano con orgoglio solo quei giapponesi nati a Tokyo. Ma per essere un vero edokko non basta essere nati nella capitale, ma e' fondamentale che almeno due o tre generazioni della propria famiglia siano tokyoti di nascita.

Questo e' uno dei motivi per cui il termine geisha - quella povera e bistrattata parola - in questo caso va bene e non e' usata alla carlona. Geisha e' un termine tokyota, ragion per cui le geisha di Kyoto non sono geisha, ma 芸子 geiko oppure 芸妓 geigi.

La signora Nakamura e' stata una geisha-san di Tokyo diventata famosa per aver annoverato fra i suoi clienti celebri personaggi occidentali come Charlie Chaplin, Jean Cocteau e Babe Ruth grazie alla sua eccellente padronanza dell'inglese.

Si dice che Nakamura-san sia stata davvero l'ultima vera geisha-san di Tokyo poiche' questa vecchia e rispettatissima arte sta - ahime' - lentamente morendo nella capitale.

E' deceduta all'eta' di 90 anni nel 2004, a New York, dove viveva gia' da tempo.

Ho acquistato la sua biografia di seconda mano, per 1 yen!
...e dentro ci ho trovato il suo autografo.