mercoledì, novembre 25, 2009

Foglie d'autunno, sakazuki e varie

(Alcune bellissime foglie che ho raccolto qualche giorno fa. Tutte le foto di questo articoletto sono opera mia).

Sara' forse il mio carattere, non so, ma mi ritrovo spesso a camminare con il naso all'insu' mentre ammiro e rimiro tutto cio' che mi circonda. Se non sono particolarmente di fretta, mi piace molto camminare lentamente, ed assaporare con gli occhi tutti quei piccoli dettagli che con molta probabilita' appaiono poco importanti, se non del tutto insulsi, alla maggior parte delle persone.

Particolari come il vermiglio acceso di alcune bacche selvatiche; il blu vivace ma regale delle tegole di una vecchia casa; l'antico incensiere di rame del tempio; il candore di uno striscione svolazzante; un muro sepolto da un'invadente ma affascinante coltre di brillante edera; dei fiori arancioni che stanno gia' appassendo; un alberello i cui esili rami danno ospitalita' ad una famigliola di passerotti.

Ecco, questi sono i dettagli che catturano il mio sguardo e che - se non faccio piu' che attenzione - rischiano di farmi inciampare o di farmi andare a sbattere da qualche parte.

La settimana scorsa, mentre tornavo a casa dall'universita', ho rallentato ancora di piu' il passo e mi sono messa ad ammirare le migliaia di foglie che adornavano i marciapiedi, le strade ed i cortili e giardini delle case.
Le foglie che vedevo erano cosi' graziose che mi e' sembrato impossibile scorgerne di brutte. C'erano foglioline rotondeggianti; ce n'erano di ovali; ce n'erano di allungate e con delle minuscole spine ai lati. C'erano poi foglie piu' larghe del palmo di una mano, mentre ce n'erano alcune cosi' piccole da sembrare quasi delle deliziose miniature.

I giapponesi, sempre cosi' sensibili ed attenti al cambiar delle stagioni, fin dai tempi piu' remoti amano ammirare proprio i colori autunnali delle foglie. In giapponese esiste addirittura una parola che racchiude in essa proprio il variare dei colori in autunno, soprattutto dei colori delle foglie: 紅葉 kooyoo. Il primo kanji - e che si puo' leggere akai, kurenai, beni, koo, ku - significa "rosso". Pero' la bellezza di questo kanji sta nel suo non essere schietto. Mi spiego meglio: in giapponese, i colori hanno nomi molto particolari e che rivelano una tale profondita' poetica che si scopre e si apprezza solo col tempo. Il colore "rosso" ne e' un esempio: esiste l'aggettivo 赤い akai che vuol dire rosso e che si utilizza generalmente per far riferimento ad un qualcosa il cui colore e' proprio rosso, come ad esempio un vestito rosso, una rosa rossa, una tazza rossa, ecc. Diciamo che akai e' schietto e diretto perche' ci dice che qualcosa e' rosso, senza stare a girare tanto intorno alla questione.

L'altro kanji, invece, (e che combinazione si puo' anche leggere akai, tanto per facilitare le cose a noi studenti di giapponese) e' il kanji che attualmente si usa in cinese mandarino per il colore "rosso" e che, se non erro, in quella lingua viene pronunciato hong (con la seconda tonalita'). In giapponese, il kanji si preferisce usarlo per fare riferimento a qualcosa che e' rosso ma non completamente; un qualcosa che magari possiede sprazzi di una tinta rossastra. Ad esempio, si usa per il te' nero (o te' occidentale), quello che qui chiamano 紅茶 koocha, cioe' te' rosso.

E la parola kooyoo, quindi, ci parla di tinte rosseggianti che abbelliscono le foglie autunnali, foglie che pero' sfoggiano anche sprazzi di tonalita' giallognole, marroncine e verdastre. Ecco perche' lo schiettissimo 赤い akai non andrebbe poi cosi' bene.

E mentre appunto ritornavo a casa, mi sono fermata piu' volte ad osservare alcune foglie che - cadendo dagli alberi - volteggiavano nell'aria; altre erano ancora debolmente attaccate ad un ramo, mentre tante altre erano gia' per terra e sembravano quasi formare un morbido tappeto colorato.

Queste foglie erano davvero tutte splendide; tante piccole opere d'arte della natura, generosamente e gratuitamente elargite a chi le avesse volute. E io ho provato il desiderio di portarmene qualcuna a casa, e cosi' ne ho raccolte alcune che spero vogliate ammirare assieme a me.

Mi piace pensare che ogni foglia possa avere un'interessante storia da raccontare.


A pochi metri da casa nostra c'e' un grosso tempio buddista sul cui cortile si affaccia un grosso albero di ginkgo (イチョウ ichoo, in giapponese). Da quell'albero stavano delicatamente cadendo decine e decine di foglioline di gingko, e cosi' ne ho raccolta una e che ora conservo tra le pagine di un libro.
Qualche tempo fa mi sono ritrovata ad ammirare (e desiderare) alcuni vecchi sakazuki, ossia bicchierini tradizionali da sake'. Esistono molte varieta' di bicchierini da sake', e principalmente quelli di ceramica (i piu' comuni ed economici, anche se ne esistono di costosi anche in questa categoria), quelli di legno, e quelli di legno laccati.
Quest'ultimi ricoprono un ruolo molto particolare e che in genere e' legato a ricorrenze ed occasioni speciali; generalmente i bicchierini laccati da sake' si usano nel corso di cerimonie, feste di compleanno, anniversari, ecc. ; si usano, dunque, in momenti di festa e di celebrazione.
Ecco, erano proprio dei sakazuki laccati che mi e' capitato di ammirare in una rivista, e dopo averli visti desideravo anch'io averne uno, possibilmente vecchio.

Qualche tempo dopo sono stata accontentata.

Mentre ficcanasavo in una montagna di libri polverosi e con le copertine ondulate ed ingiallite di un negozio di cose vecchie, ho trovato questa scatola di legno di cipresso, distrattamente legata con un laccio turchese.
La scritta sul coperchio prometteva proprio un sakazuki al suo interno! E non un sakazuki qualunque, ma uno proveniente da un santuario shintoista.
Ed eccolo qua in tutto il suo laccatissimo splendore:

Su di esso sono dipinti, in oro, i kanji che compongono il nome di questo vecchissimo santuario e che si chiama 宮崎神宮 Miyazaki-jinguu. Dall'altra parte, invece, un kanji propiziatorio offre un tocco finale alla superficie del bicchierino: 寿 kotobuki, ossia lunga vita.

Ed ecco l'interno del sakazuki, abbellito dal crisantemo, ossia il sigillo della casa imperiale giapponese perche' il santuario e' dedicato all'Imperatore Jinmu (神武天皇 Jinmuu Tennoo), ovvero il primo Imperatore del Giappone, secondo quanto ci dice la mitologia nipponica.
Dopo essere ritornata a casa, e dopo aver osservato per benino sia il sakazuki che la sua scatola, ho fatto caso ad un particolare che mi era del tutto sfuggito al momento dell'acquisto: sul fondo della scatola stessa, in una bella calligrafia nera curata, c'e' scritta la data a cui risale questo sakazuki. La data e' espressa alla vecchia maniera giapponese, e secondo quanto scritto, il bicchierino risale al quarantesimo anno Shoowa, ossia al 1965.

Termino l'articoletto di oggi con una foto di uno degli omiyage che Fusae mi ha portato venerdi' scorso. Era gia' quasi un mese che non c'incontravamo, ed e' stato quindi molto emozionante rivederla! Assieme ad una scatola di deliziosi cioccolatini parigini (un omiyage del suo recentissimo viaggio nella capitale francese), ed alcune succosissime mele, un sacchetto di profumatissimi yuzu del suo giardino!!

Guardate che splendore:

martedì, novembre 24, 2009

Teuchi-udon: gli udon casalinghi

(A sinistra: i miei teuchi-udon. Tutte le foto di questo articoletto sono opera mia).

Era davvero da molto tempo che accarezzavo l'idea di preparare gli udon a mano, ma la facilissima reperibilita' di qualsiasi tipo di pasta fresca giapponese mischiata ad una buona dose di quell'inguaribile pigrizia che mi assale nelle giornate fredde e senza sole mi hanno incoraggiata a rimandare per molto tempo questo curioso progetto.

Ieri, pero', mentre ero al supermercato, i miei occhi si sono magicamente posati su alcune confezioni di うどん粉 udonko, ossia di farina per udon. Con un'aria tra il curioso ed il diffidente, ho preso in mano una di queste confezioni; sul retro di essa, era stampata una bella e semplice ricetta che prometteva di prendere per mano l'aspirante udonista e di guidarlo passo passo attraverso ogni fase della preparazione, fino all'ottenimento di una profumata e morbida matassa di quegli spaghettoni cosi' deliziosamente giapponesi.

La rassicurante brevita' della lista degli ingredienti necessari mi ha ulteriormente incoraggiata a mettere il pacco di udonko nel mio carrello e di proseguire, quindi, fino alla cassa.

E stamattina, in balia di un'energizzante vena artistico-culinaria, mi sono messa al lavoro.

Prima d'illustrarvi la ricetta, vorrei fare alcune precisazioni:

- per la preparazione degli udon casalinghi non e' obbligatorio utilizzare l'udonko, anche se sarebbe certamente l'ideale. Per questa ricetta e' importantissimo usare una farina particolarmente ricca di glutine, come ad esempio la farina per il pane. Se non doveste, dunque, riuscire a reperire l'udonko, sara' sufficiente sostituirla con della buona farina da pane di qualita'.
Sconsiglio categoricamente farine deboli e povere di glutine, come quelle che si usano ad esempio per la preparazione di dolci, paste frolle, ecc.

- Per questa ricetta non e' obbligatorio servirsi di un'impastatrice elettrica (i.e. Kitchen Aid), ma e' sufficiente lavorare l'impasto a mano anche se, naturalmente, e' importante lavorare il tutto con una certa forza. A seconda del tipo di farina che userete, otterrete impasti di durezza diversa; e' possibile che otteniate impasti duri e spessi, e in questo caso - anziche' farvi venire un'ernia dato che non e' il caso - sara' sufficiente mettere la palla di pasta in un sacchetto pulito di plastica e salirci sopra, appiattendo il tutto quindi con i piedi (puliti, mi raccomando!). Sicuramente questo metodo vi fara' sorridere, ma e' una tecnica molto utilizzata qui in Giappone nella preparazione appunto degli udon casalinghi.
L'udonko che ho utilizzato io e' formulata in un modo tale da produrre un impasto abbastanza facile da lavorare, e quindi non mi e' stato necessario ricorrere alla tecnica di cui sopra.

Ed ecco a voi la ricetta dei 手打ちうどん teuchi-udon!

Ingredienti per 3 porzioni abbondanti di udon freschi:

300g di udonko od altra farina ricca di glutine
145ml d'acqua
15g di sale
un po' di farina extra per la lavorazione dell'impasto
1. Mischiare l'acqua con il sale e mescolare bene.
2. In un recipiente capiente versare la farina ed aggiungere l'acqua salata. Mischiare il tutto ed iniziare ad impastare il composto. Assicuratevi di avere sempre il vostro piano di lavoro ben infarinato per evitare che l'impasto s'appiccichi. Lavorare bene l'impasto fino a quando non sara' diventato liscio ed elastico.
3. In un sacchetto di plastica pulito (io ho usato uno di quelli per il freezer) versare uno o due cucchiaini di farina; mettere la palla di pasta dentro la busta, e legare il sacchetto con un laccio. Lasciar riposare l'impasto per circa mezz'ora.
Dopo mezz'oretta, riaprire il sacchetto, tirare fuori l'impasto e lavorarlo per circa un minuto dopodiche' rimetterlo nuovamente nel sacchetto e lasciarlo riposare per circa venti minuti.

Trascorsi i venti minuti, tirare fuori l'impasto dalla busta e metterlo sul tavolo ben infarinato. Servendovi di un mattarello - anch'esso leggermente infarinato - iniziate a stendere l'impasto.
Per facilitare la lavorazione, di tanto in tanto avvolgete l'impasto attorno al mattarello e cercate di distendere delicatamente la pasta man mano che la srotolate.

Continuate cosi' fino a quando otterrete un disco di pasta dal diametro di circa 40-50cm e dello spessore di circa 3mm.
Mi raccomando, non dimenticatevi di usare sempre un po' di farina durante la lavorazione per evitare che l'impasto rimanga attaccato al tavolo oppure al mattarello.
Ora piegate l'impasto in tre parti, in questo modo:
Mi raccomando, non dimenticatevi di dare una spolverata di farina tra le pieghe dell'impasto altrimenti ci sara' da vedere i sorci verdi quando sara' ora di separare gli udon.
Utilizzando un coltello ben affilato, iniziare a tagliare gli udon, cercando di farli piu' o meno tutti della stessa larghezza. Ricordatevi di non farli troppo spessi perche' durante la cottura si allargheranno un po'!
Volendo, per facilitarvi un po' le cose, potete raccogliere i vostri udon freschi aiutandovi con un saibashi oppure un bastoncino un po' lungo e sistemandoli su di esso molto delicatamente. Cosi' facendo, potrete poi adagiarli con cura sopra un vassoio.

Dato che oramai siamo nella stagione fredda e non si corre il rischio di dover fare i conti con un eccessivo tasso di umidita' nell'aria, se non avete intenzione di cucinare subito i vostri udon potrete tranquillamente lasciarli riposare sopra un vassoio ben infarinato e coperto da un telo pulito, fuori dal frigo.
Naturalmente, in estate e' preferibile conservare gli udon in frigo fino al momento dell'uso.

Per la cottura dei vostri udon freschi:

Mettere la quantita' desiderata di udon freschi a cuocere in abbondante acqua bollente NON salata e lasciar cuocere per circa 10 minuti. Trascorsi i dieci minuti, scolare e risciacquare gli udon sotto un getto d'acqua fredda e servire. Se vorrete consumarli freddi, bastera' servirli accompagnati da un po' di mentsuyu; se invece vorrete servirli in brodo, bastera' quindi scolarli, risciacquarli molto velocemente, ed infine metterli in una scodella nella quale verserete poi il vostro brodo caldo.

Et voila'! 出来上がりで~す! Dekiagari desu!
A questo punto potrete preparare i vostri udon seguendo la ricetta che preferite, e potrete star certi che il risultato sara' indubbiamente strabiliante poiche' il vostro ingrediente principale sara' freschissimo ed artigianale!

Potrete, per esempio, optare per un bel piatto fumante e profumato di 焼きうどん yaki-udon la cui ricetta troverete proprio qui.
Oppure - perche' no - un'appetitosa scodella fumante di きつねうどん kitsune-udon la cui ricetta troverete invece qua.

E dato che adesso le giornate sono fredde e la voglia di cibi caldi e confortanti aumenta in maniera inversamente proporzionale al calare delle temperature, probabilmente vi verra' voglia di prepararvi dei deliziosi udon piu' spesso, e allora perche' non mettervi ancora una volta nelle mani della squisita cucina giapponese tradizionale preparando un semplice かえし kaeshi casalingo da utilizzare come base per il brodo ogni volta che vorrete?
Il kaeshi e' un condimento davvero tradizionale e che sta alla base di molti brodi non solo per udon, ma anche per la soba, hiyamugi, soomen, ecc. Anziche' acquistare del mentsuyu (brodo per udon o soba) gia' pronto al supermercato, perche' non provare a fare dell'ottimo e semplice kaeshi con cui preparare in un batter d'occhio del mentsuyu artigianale e di qualita'? Il kaeshi, quindi, e' un condimento concentrato e che va diluito con il dashi per poter preparare il brodo (freddo o caldo, a seconda) per i vostri udon. Questo brodo si chiamera', appunto, mentsuyu.

Una volta preparato, il kaeshi si conserva tranquillamente in frigo per mesi! E ovviamente, non sarete costretti ad utilizzarlo solo per udon o soba, ma lo potrete usare anche per insaporire altri piatti giapponesi! Insomma, anche in questo caso la fantasia e' veramente l'unico limite.

Ed ecco a voi una semplicissima ricetta per preparare il kaeshi casalingo.

Ecco gli ingredienti che vi servono:
100ml di mirin
20g di zucchero semolato
180ml di salsa di soia giapponese

In un pentolino versare il mirin e farlo sobbollire. Far evaporare quanto piu' alcool possibile. Aggiungere lo zucchero e mischiare bene fino a quando questo si sara' completamente sciolto.
A questo punto versare la salsa di soia, mescolare bene e spegnere il fuoco.
Lasciar raffreddare il composto e travasarlo in un barattolo pulito che potrete tranquillamente conservare in frigorifero per mesi.

Ricordatevi che il kaeshi e' un condimento concentrato, e quindi andra' diluito con il dashi per poter preparare un brodo saporito! Se avete bisogno di una ricetta per preparare il dashi casalingo, ecco qua. In alternativa, va benissimo anche il dashi in polvere.

Dosi per il mentsuyu:

ad ogni 200ml di dashi caldo aggiungere 20ml di kaeshi. Mescolare bene ed utilizzare subito!

Ed ecco qui una scodella dei miei teuchi-udon in brodo (brodo preparato con dashi e kaeshi*):
*Ho utilizzato 300ml di dashi e 30ml di kaeshi per persona. Con gli udon, invece, sono andata ad occhio.

Il verdetto? Squisiti. Davvero. Sia mio marito che io ci siamo persino leccati i baffi che non abbiamo! Gli udon erano belli spessi e gustosi, ed il brodo aveva proprio quel sapore giapponese che va veramente assaggiato perche' descriverlo e' quanto di piu' difficile ci sia.

Rispondero' presto ai commenti dell'articoletto precedente a questo!

Buona lettura e buon proseguimento di settimana!

giovedì, novembre 12, 2009

Una vecchia ricetta e chiacchiere autunnali

(Un higashi, ossia un dolcino tradizionale per il matcha, proveniente dal tempio Koomyooji. Tutte le foto di questo articoletto sono opera mia).

Dopo giorni e giorni di un sole brillante e di un cielo deliziosamente azzurro, e' ritornato il maltempo. Forse non si tratta proprio di maltempo, ma di semplici giornate novembrine che sfoggiano i loro colori sotto un grigiastro cielo coperto.
Le previsioni, pero', promettono un po' di sole a partire da domani, ma per oggi non ci sono promesse di raggi tiepidi e luminosi.

Rimettendo un po' d'ordine nella cartella di foto per il blog, ho trovato alcune immagini che avevo scattato il mese scorso e che ritraggono alcuni dei dolcini che Fusae-san aveva acquistato al tempio Koomyoo, e che aveva regalato a Titti e a me. Questo tipo di dolcini si chiamano 乾菓子higashi, cioe' dolcini secchi, e sono l'accompagnamento forse piu' tradizionale ed elegante per il matcha.

Gli higashi, generalmente, sono molto piccoli e decorati con grande cura; i colori scelti sono solitamente tenui e delicati, proprio come il loro delicato sapore dolce e la loro fragile e zuccherosa consistenza.

Sul dolcino giallo appaiono gli ufficiali stemmi imperiali ed il nome del tempio, ossia 大本山光明寺 daihonzan-koomyooji. Daihonzan e' un titolo che viene dato ai templi principali e che rappresentano ognuno una determinata setta buddista.


Titti ed io abbiamo gustato questi graziosi dolcini, accompagnati naturalmente da una tazza di te' matcha. Un paio di articoletti fa vi ho mostrato il mio metodo molto informale con cui preparo il matcha a casa; un semplice rituale rasserenante che allieta i miei pomeriggi.
Il giorno in cui abbiamo assaggiato gli higashi del Koomyoo e' stato anche il giorno in cui ho potuto inaugurare un prezioso oggetto: un delicato natsume laccato, appositamente creato per contenere il matcha durante le cerimonie.
La bellezza e la semplicita' dei natsume sa donare un tocco davvero particolare anche ad una preparazione informale del matcha, proprio come quella che faccio io in casa.

Ecco qui il mio natsume, abbellito dai colori tradizionali delle 独楽 koma, ossia delle trottole con cui giocavano i bimbi un tempo.
Rimanendo sempre in tema di te' giapponese, la settimana scorsa sono andata a ficcanasare golosamente in un microscopico e caotico negozio di cose vecchie. Questa minuscola bottega, gestita da marito e moglie molto giovani, e' poco distante da casa nostra.
Ci si accorge della presenza di questo ingarbugliato negozietto gia' all'inizio della stradina su cui si trova: una montagna di cose vecchie ed assortite troneggia con spassosa imponenza proprio davanti l'entrata del negozio, occupando una buona parte di un marciapiede che, pur essendo gia' minuscolo e pericolante di suo, riesce ad offrire un altrettanto minuscolo ritaglio di cemento ai curiosi e temerari clienti.
Riuscire a scavalcare le pile di giornali dalle pagine ingiallite, le montagnole di kimono e yukata smessi, e le decine e decine di suppellettili accatastate e' di per se' un'impresa non indifferente che pero' premia ogni spavaldo cliente indicandogli il modo con cui poter finalmente accedere al negozio.

Una volta entrati, la situazione che si profila agli occhi del cliente incosciente di turno e' molto simile a quella che lo aveva accolto all'esterno: montagne infinite di oggetti, tutti posati uno pericolosamente sopra l'altro; un equilibrio di oggetti che sembra sfidare le leggi della gravita'.

Facendo molta - ma moooolta - attenzione a dove mettessi i miei piedi, sono andata a curiosare tra queste montagne di cose assortite, senza pero' sapere da che parte fosse meglio cominciare. Mi terrorizzava l'idea di poter - seppur inavvertitamente - dare una leggera gomitata ad una delle tante statuine di porcellana che, cadendo, avrebbe innescato una tragica reazione a catena tipo quelle cosi' coreografiche che si ottengono con le tessere del domino; nonostante cio', dovevo per forza andare avanti e proseguire per quell'angusto sentiero costellato da mille aggeggi strambi perche' non avevo scelta: far dietro-front avrebbe significato ritornare davanti alle cinquanta statuine Lladro, con conseguente rischio di provocare una strage di cocci, mandando in frantumi un'intera famigliola di principessine e pastorelli.

Ero finalmente arrivata al fondo del sentiero quando....un minaccioso rumore di passi mischiato ad un rumore di sacchetti di nylon mi atterri'. C'era qualcuno al fondo del sentiero, dietro la traballante montagna di vassoi e teiere laccate! E quel qualcuno, quasi sicuramente, voleva esplorare il sentiero su cui ero io. Ma questo era impossibile, dal momento in cui c'era posto solo per una persona per volta!
Stavo iniziando seriamente a preoccuparmi, e infatti ho iniziato a cercare vie d'uscite che magari mi potessero riportare all'esterno conducendomi attraverso porticine secondarie o qualche altra scorciatoia nascosta. Ma non intravedevo soluzioni.

Fortunatamente, pero', proprio quando stavo per perdere le speranze e stavo gia' per gettare la spugna (non in maniera eccessivamente violenta altrimenti avrei rischiato di colpire una Lladro, per carita'!), il nonnetto che stava tentando di scavalcare la montagna di teiere e vassoi ha cambiato idea, spaventato indubbiamente dal comprensibilissimo timore di causare danni incalcolabili.

Ignoro la maniera con cui il nonnetto sia riuscito a ritrovare l'uscita, arrivando sano e salvo fino alla fine del tunnel, pero' suppongo tutto sia andato bene.

Dopo un lento incedere che era tale non per solennita' o pomposita', ma per il semplice e costante terrore di mandare in macerie la piccola bottega e di ritrovarmi, quindi, sotto una soffocante montagna di oggetti fracassati, sono finalmente giunta al punto in cui il registratore di cassa dista circa mezzo metro dall'uscita.
Stavo finalmente per dirigermi verso la luce del sole - la cui luminosita' e bellezza avevo quasi dimenticato - quando, in un angolo polveroso e buio, ho intravisto una grossa cassetta di plastica blu, tipo quelle che si usano per trasportare bottiglie di vetro.
Non so che cosa mi abbia attirata ad avvicinarmi a quella cassetta stracolma di tutto e di piu', ma nel giro di mezzo secondo mi sono ritrovata accovacciata vicino alla piccola montagnola di oggetti che spuntava dal bordo del contenitore blu.

Rovistando con crescente curiosita', proprio sul fondo della cassetta stessa ho scovato due tesori che mi hanno immediatamente regalato un sorriso da qui a qui: due vecchi 茶筒 chazutsu (barattoli per il te') di sakura no ki, ossia di legno di ciliegio.
Erano entrambi impolverati, ma la loro ineguagliabile bellezza traspariva lo stesso.
Con grande cura li ho osservati, e ho scoperto che entrambi appartenevano ad una vecchia sala da te' che ormai non esiste piu', e che un tempo sorgeva in una stradina di un quartiere di Tokyo.
Sul fondo di uno dei barattoli appare persino una data, scritta in kanji e con un inchiostro dorato, e che colloca quel barattolo (forse anche l'altro) verso la fine degli anni Sessanta.

I due barattoli sono molto simili, ma uno di questi ha due foglioline -di cui una di momiji - ed un fiore di sakura intagliati sul bordo del coperchio:

Uno dei due barattoli - quello con le foglioline intagliate - all'interno conteneva anche un piccolo cucchiaio dosatore per il te'.
Rialzandomi con la massima lentezza, mi sono avviata verso la proprietaria del negozio la quale - con un faccino molto serio - stava spolverando una mensola di vetro. I due barattoli erano senza prezzo, e quindi mi sono preparata non solo a chiedere informazioni in merito, ma a contrattare un po': avevo gia' fatto un acquisto tempo fa in questo stesso negozietto, e ricordo che - in maniera del tutto inaspettata - mi ritrovai a contrattare sul prezzo. Le contrattazioni sui prezzi avvengono molto raramente qua in Giappone, quindi potete immaginare quanto rimasi stupita nel vedermi offrire un prezzo minore dopo aver garbatamente rifiutato quello iniziale!
La ragazza era del tutto ignara del fatto che mancassero i prezzi sui due barattoli. Io, a questo punto, aspettandomi di vedermi piombare un prezzone da capogiro, ho fatto un sorrisino paziente e ho aspettato con ansia che arrivasse qualche indizio. Accennando un sorrisino simpatico e con l'aria di chi si sta leggermente rimproverando per aver commesso una dimenticanza, la giovane proprietaria si e' messa una mano sul fianco, ha inclinato la testa da un lato e - guardandomi con due vispi ed eloquenti occhietti - mi ha detto che me li avrebbe venduti a duecento yen l'uno (circa 1,50 euro).

Non credendo di aver capito bene, ho ripetuto il prezzo con una voce ed uno sguardo increduli. Ma avevo capito benissimo, e ringraziando la giovane proprietaria, mi sono diretta alla cassa dove - con un'aria trionfante - ho acquistato questi due splendidi chazutsu per una cifra davvero ridicola.

Rimanendo sempre in tema di cose vecchie - e non piu' tanto di te' (anche se un piccolo riferimento ad esso c'e') - dalle pagine ingiallite di un librone giapponese che contiene ricette, piccole astuzie e consigli della nonna, qualche giorno fa e' scivolato un pezzo di carta di giornale su cui era scritta, in una bella calligrafia giapponese d'altri tempi, una ricetta: 茶せん茄子 Chasen-nasu.
Il chasen, come forse ricorderete, e' il nome di quel tradizionale frullino di bambu' che si utilizza per preparare il matcha. Nasu, invece, vuol dire melanzana in giapponese.
Le melanzane in questa ricetta vengono tagliate in un modo tale da farle assomigliare un po' ad un chasen, ed ecco il perche' del nome.

In realta', questa ricetta fa parte dell'antico repertorio gastronomico delle campagne giapponesi; e' un piatto che ogni tanto appare in ricettari improntati piu' su sapori rustici e che sanno rievocare piacevoli ricordi della sana vita di campagna.
Questa ricetta trovata su quel foglio, forse, era stata scritta da una mamma per la figlia o per una nipote. Chissa'.

E cosi' oggi ho riunito tutti gli ingredienti e mi sono messa al lavoro.

茶せん茄子
Chasen-nasu

Ingredienti:

quattro melanzanine giapponesi (oppure due nostrane)
una manciata di shishitoo (piccoli peperoni verdi giapponesi)
olio per friggere q.b.
un cucchiaio di salsa di soia giapponese
mezzo cucchiaio di sake
mezzo cucchiaio di mirin
125ml di dashi
Da sinistra verso destra: sake, salsa di soia e mirin

Mischiare subito la soia con il sake, il mirin ed il dashi. Mescolare bene e mettere da parte il composto.

Lavare le melanzane, asciugarle bene ed eliminare quanto piu' possibile del picciolo.
Con un coltello affilato, e facendo attenzione a non farsi male, praticare dei tagli verticali su tutta la superficie delle melanzane. Ogni taglio deve partire dall'alto verso il basso, e dovrebbe avere una profondita' di circa 1cm (o anche di piu', se le melanzane sono un po' grandi).
Lavare gli shishitoo, asciugarli ed eliminarne i piccioli. Con uno stuzzicadenti, bucherellare un po' la superficie degli shishitoo.
In un pentolino basso, versare un po' d'olio per friggere (circa un dito), scaldarlo ed aggiungere subito le melanzanine. Facendo attenzione agli schizzi, cuocere le melanzane a girarle delicatamente con i saibashi, per circa 5-6 minuti o fino a quando non si saranno ammorbidite.
Togliere le melanzane dall'olio e metterle a scolare su della carta assorbente da cucina.
A questo punto, friggere gli shishitoo per uno o due minuti.
Scolare gli shishitoo.

In un piatto leggermente fondo, sistemare le melanzane attorcigliandole leggermente su se stesse in modo da accentuare un po' il loro taglio particolare. Sistemare poi gli shishitoo.
Aiutandovi con un cucchiaio od un mestolo, versare delicatamente il composto preparato prima, sulle verdure.
出来上がりで~す! Dekiagari desu! E' pronto!

いただきます!
Itadakimasu!

martedì, novembre 03, 2009

Parole ed ispirazioni novembrine

(Dei deliziosi 三色団子 sanshoku-dango novembrini, accompagnati da un buon matcha. Tutte le foto sono opera mia).

Ottobre si e' gia' trasformato in un ricordo; si e' portato con se' un po' di quella magia che caratterizza gli inizi dell'autunno, quei veri inizi che ci distaccano definitivamente dall'estate, accompagnandoci dolcemente in una nuova stagione che ama affascinarci gradualmente, foglia per foglia, frutto per frutto, fiore per fiore.

Novembre e' qui, e con esso i primi veri sprazzi di aria gelida.

Oggi il cielo del Kanagawa e' blu come il mare; questo cielo brillante fa da sfondo ad un sole altrettanto gaio e sorridente.

Mia cognata Titti e' partita un po' di giorni fa e la sua assenza continua a sentirsi. Mi manca molto, Titti. Mi mancano i suoi sorrisi, i suoi scherzi, la sua aria divertita e i suoi occhietti splendenti e vivaci. Mi mancano la sua curiosita' e le sue domande.
Mi mancano le sue espressioni stupite e i suoi sguardi sorpresi, quelli che comparivano puntualmente davanti a tutte quelle cose nuove che cercavo di farle conoscere. Ricordo il pomeriggio in cui le preparai del matcha accompagnato da alcuni delicatissimi sanshoku-dango che comprammo in una piccola pasticceria del Kanagawa, in una gelida mattina d'ottobre.
Erano dei dango particolarmente belli perche' adornati da colori splendidamente autunnali. Eccoli:
Per tanto, tanto tempo pensavo che la mia stagione preferita fosse la primavera, e invece qua in Giappone ho cambiato radicalmente idea: adesso l'autunno e' la stagione che piu' prediligo. Dell'autunno mi piacciono i colori intensi; gli odori leggermente speziati che svolazzano nell'aria; le foglie secche che adornano i marciapiedi, le strade, i tetti delle case.

Approfittando un po' del sole e del cielo blu di stamattina, sono andata in giardino e ho scattato alcune foto. E mentre passeggiavo tra le foglie secche, ho respirato a pieni polmoni l'aria freddolina e frizzante del mattino, e ho pensavo all'incantevole splendore di tutte quelle piccole cose che la vita quotidiana ci regala continuamente.

Rientrando in casa, mi sono soffermata nel 玄関 genkan ad osservare un oggetto particolare e che abbellisce un piccolo davanzale: due 下駄 geta (sandali tradizionali giapponesi) di porcellana di Arita, acquistati assieme a Titti al 明治神宮 Meiji-Jinguu (Santuario Meiji), in una grigia e piovosa mattina di alcune settimane fa. Eccoli:
Secondo un'antica credenza popolare giapponese, e' di buon auspicio avere un paio di piccole geta di porcellana (o legno) da mettere nel genkan o nell'ingresso di casa propria. Pare che portino fortuna e buona salute non solo agli abitanti della casa, ma anche agli ospiti.

Ieri pomeriggio mio marito e' andato a trovare Ishii-san nel suo ufficio, e quando e' tornato aveva le mani piene di graditissimi doni: frutta fresca proveniente dal giardino del nostro padrone di casa, degli ottimi wagashi ed un paio di サトイモ sato-imo.

Ecco alcuni dei wagashi ricevuti:
Dorayaki alle castagne, ed alcuni dolcini tipo mochi ricoperti di cioccolato bianco e farciti di marmellata d'azuki.
Tra i doni di Ishii-san, c'erano anche alcune サトイモ sato-imo (note anche col nome di taro) bollite. Le sato-imo vengono coltivate e consumate prevalentemente qui in Asia, anche se probabilmente ora stanno acquisendo maggior popolarita' anche altrove.
Qui in Giappone vengono fatte semplicemente bollire oppure fatte cuocere in umido con altre verdure e salsa di soia.
Le sato-imo che ci ha mandato Ishii-san erano state fatte semplicemente bollire in acqua, senza alcun condimento; le abbiamo poi sbucciate e gustate con una spolveratina leggera di sale.
La fredda arietta di novembre mi sta invogliando sempre di piu' ad esplorare nuovi incensi che sappiano non solo colorare un po' l'atmosfera di casa con effluvi delicati e che timidamente volteggiano su se stessi in punta dei piedi, ma odori che sappiano anche rilassarmi, soprattutto in questo periodo di grandi impegni universitari.

Passeggiando per le vivaci stradine della fiera Asakusa in un tiepido pomeriggio d'ottobre, in compagnia di Titti, il mio naso e' stato ad un tratto attirato da una scia fragrante e che proveniva da un vicoletto mezzo assolato e mezzo nascosto nella penombra.
Seguendo quasi istintivamente quell'invito profumato, mi sono trovata davanti ad una bottega d'incensi e stampe giapponesi.
Da una mensola del negozietto si alzava lentamente un esile serpentello di fumo di uno degli incensi piu' fragranti che abbia mai avuto il piacere di annusare. Due signore - che come me erano state attratte da quell'enigmatico profumo - si sono avvicinate al piccolo incensiere d'ottone nel quale bruciavano lentamente alcuni bastoncini verdi. Anche loro erano rimaste completamente rapite da quell'aroma e sembravano non voler piu' andar via.

Eravamo tutte in balia di quella fragranza cosi' leggera eppure cosi' ipnotica; quella fragranza che sapeva di fiori di ciliegio, di petali di rosa, di legni antichi, di nebbia, di aria di montagna, e di vecchio Giappone.
Come potevo non portarmi a casa un briciolo di quel sogno profumato?

Ecco la confezione d'incenso d'Asakusa, 楽山 Rakuzan:

Mi piace sempre legare indissolubilmente un oggetto ad un ricordo piacevole; naturalmente, cio' avviene quasi sempre in modo molto naturale, ma delle volte cerco d'imprimere con maggior forza un ricordo tenendo in mano un oggetto, chiudendo gli occhi e ripensando alle circostanze che mi hanno portata ad ottenere un libro, un vaso, una stampa, dell'incenso, ecc.

Ero con Titti nei pressi della stazione di Hase, a pochi metri dal Grande Buddha di Kamakura.
Passeggiavamo in un silenzio quasi contemplativo dovuto quasi certamente all'atmosfera innegabilmente magnetica e meditativa che si respira da quelle parti.
Il nostro silenzio, pero', era interrotto ogni tanto da qualche parola che a vicenda spendevamo per lodare la sconvolgente magnificenza del luogo in cui ci trovavamo. Il sole era ormai gia' tramontato da alcuni minuti, anche se nel cielo s'intravedevano ancora alcuni fiochi sprazzi arancioni di una luce che stava lentamente morendo.
Nell'aria c'erano il profumo dei senbei tostati e il suono solenne delle campane di un tempio.
Dovunque ci girassimo, ogni cosa ci parlava di un passato remoto e che, sebbene fosse davvero cosi' lontano, era ancora vivo; un passato che c'immaginavamo molto volentieri.

In un negozietto vicino alla stazione, abbiamo trovato un mazzo di vecchie 時代めんこ jidai-menko. Le menko sono delle carte da gioco giapponesi che erano molto in voga nel Periodo Edo. Un tempo queste carte erano adornate perlopiu' da immagini che raffiguravano samurai ed altri celebri personaggi dell'epoca, mentre oggi si trovano molte menko riviste in chiave moderna e che illustrano immagini di famosi manga di adesso.
Le menko sono molto amate dai bambini perche' con esse si puo' fare un gioco composto da poche regole semplici e veloci da imparare. A turno, ogni giocatore lancia per terra una menko che l'avversario dovra' - servendosi a sua volta di una delle sue carte - colpire oppure cercare di capovolgere, magari con l'ausilio di uno sbuffo di vento. Chi riesce a far cio', vince la carta dell'avversario.

Tanti bambini del Periodo Edo trascorrevano interi pomeriggi a giocare per strada con le menko.
E' bello poter giocare un po' con la propria immaginazione, chiudere gli occhi ed intravedere un villaggio qualunque nel Giappone di qualche secolo fa: gruppetti di bambini che, per combattere quella noia che sembra essere particolarmente insistente in estate, si ritrovano davanti casa a giocare con le menko, mentre qualche venditore ambulante di verdure o di soba ordina loro - magari con un tono di voce un po' scontroso - di togliersi dai piedi e di non stare sempre li' ad intralciare il lavoro dei grandi.
Immagino quelle carte logorate non solo dal tempo, dalla terra, dalla polvere, ma dalle tante partite di cui sono state indiscusse protagoniste.
Chissa' quanti momenti di vittoriosa gioia o di deprimente sconfitta hanno fatto da cornice alle menko che hanno divertito i bambini della vecchia Edo?
E chissa' quanti sospiri sognanti sono stati fatti osservando le illustrazioni fiere e solenni di quei samurai che incarnavano il coraggio, l'astuzia, la sveltezza, la fedelta', l'onore e tutte quelle sublimi virtu' a cui si aspirava con cosi' tanta passione?