domenica, settembre 28, 2008

Honmaru-tei: ramen e crisantemi

Due mie scodelle da ramen.

Quando l'aria si fa fredda, ecco che ritorna la voglia di ramen.
Oramai la calda ed afosa estate giapponese e' solo piu' un ricordo, e i primi assaggi autunnali ci hanno fatto riscoprire morbide calze e una coperta comoda ed imbottita per la notte.

Sebbene la voglia di ramen non sparisca mai del tutto, con l'abbassamento delle temperature si fa pero' piu' intensa.

Dei ramen ho parlato tanto qui sul mio blog, e basta infatti cliccare sull'etichetta "ramen" che trovate al fondo di questo articoletto per poter visualizzare tutto cio' che ho scritto in passato a proposito di questa specialita' giapponese di origine cinese.

Sui ramen si potrebbero scrivere centinaia di articoli e addirittura un libro, ma anziche' proporvi cucchiaiate di canoniche spiegazioni enciclopediche, preferisco lasciar parlare l'esperienza e le foto, e magari qualche mia descrizione di posti e persone.

E' importante, pero', ricordarvi che la maggior parte dei ramen shoppu sono attivita' che dimostrano grande esperienza ed orgoglio, ed e' per questo che non troverete mai una scodella di ramen uguale ad un'altra, a meno che non prepariate quelli secchi...ma per quanto anche i ramen secchi siano gustosi, di certo non reggono il paragone. D'altronde, non potrebbe essere altrimenti: sarebbe un po' come paragonare una buona pizza sapientemente preparata e appena sfornata con una pizzetta fresca di....congelatore! Proprio non sono la stessa cosa.

Ricordo che quando abitavamo negli Stati Uniti, venni a conoscenza dei ramen grazie alla loro versione istantanea da pochi centesimi la confezione, reperibili in tutti i supermercati americani....anche quello piu' sgangherato. Mi piaciucchiavano, ma non erano di certo nella lista dei miei cibi preferiti. Anzi, mi chiedevo cosa ci fosse di speciale in quelle mattonelle di spaghettini fritti e secchi che andavano fatti bollire e poi conditi con quelle misteriose polverine salate e marroncine. Mi chiedevo se in quel lontano Giappone fossero davvero cosi' strambi da andar matti per questa robetta qui.

Ma un giorno....guardai un leggendario film intitolato タンポポ Tanpopo* dove, in breve, i ramen hanno un posto d'onore nella sceneggiatura. Non vi racconto la trama perche' vorrei vedeste il film, e quindi per non rovinarvi la sorpresa preferisco limitarmi a dire che dopo aver visto questo splendido capolavoro cinematografico, mi si aprirono...ma che dico...mi si spalancarono le porte del mondo dei veri ramen!

Se fino a quel momento credetti di sapere cosa fossero i ramen, dopo il film dovetti rendermi conto che i veri ramen avevano (e hanno) ben poco a che spartire con le mattonelle secche.

Per placare l'improvvisa voglia di ramen nata durante la visione del film, mi dovetti accontentare di una mattonella di ramen secchi marca Maruchan al pollo, pregustando pero' la ricerca di un ramen shoppu nella nostra citta'.

Nella citta' californiana in cui abitavamo, c'era una grande presenza di giapponesi e di conseguenza un numero non indifferente di ristoranti e negozi (c'era persino Mitsuwa, un grosso supermercato che trattava solo ed esclusivamente articoli nipponici!).
Nonostante cio', i ristoranti giapponesi erano prevalentemente locali specializzati in sushi e teppanyaki, ma di ramen shoppu ce n'erano ben pochi.
Uno di questi, l'Otemoyan Noodle House, era pero' una piccola gemma, un pezzo di orgoglio ramenesco giapponese...fuori dal Giappone.
Dico era perche', purtroppo, l'Otemoyan House ha chiuso i battenti gia' un paio d'anni fa, e l'ultima volta in cui sono passata davanti quel locale, ho visto con grande tristezza che era stato rimpiazzato da una copisteria.

Grazie all'Otemoyan House, mio marito ed io abbiamo avuto il primo assaggio di veri ramen, e l'esperienza fu a dir poco elettrizzante.

Certo, allora non sospettavamo minimamente del fatto che saremmo venuti ad abitare nientepopodimenoche' in Giappone, e che quindi avremmo fatto grandi grandissime scorpacciate di ramen, ma l'Otemoyan House rappresento' per noi il vero inizio a quest'avventura culinaria nel mondo dei ramen.

Come gia' ho scritto in precedenza nei miei articoletti, i ramen shoppu sono ovunque qui in Giappone. I ramen shoppu sono tanti quanti sono i bar in Italia, anzi...di piu'! Ci sono le catene che tentano di standardizzare i sapori e la presentazione dei piatti, uniformando prezzi e la parte estetica dei locali stessi. Le catene offrono un buon pasto a poco prezzo ma...purtroppo sono poco originali e difficilmente si rimarra' colpiti dal sapore del brodo oppure dalla consistenza dei ramen. Le catene puntano alla quantita' e non tanto alla qualita', e quindi sebbene offrano pasti che saziano e che non prosciugano il portafoglio, difficilmente vi regaleranno esperienze memorabili.
C'e' una catena, ad esempio, che vanta i ramen a 299 yen la scodella (quello e' il prezzo di partenza, ma si puo' arrivare tranquillamente oltre se non ci si accontenta dei ramen semplici e di base) che equivalgono, all'incirca, a 1,93 euro. Per 299 yen vi portano uno scodellone traboccante di ramen in brodo, adornati da mezzo uovo sodo, una fetta di maiale arrosto, spinaci lessi e qualche strisciolina di めんま menma, ossia bambu' fermentato.
I ramen di questa catena sono buoni, per carita', e vanno benissimo se si ha fame e se si hanno solo pochi spiccioli da spendere, ma non colpiscono. Saziano, ma non lasciano alcun'impronta.

Per rimanere veramente colpiti bisogna andare nei ramen shoppu a conduzione famigliare, quelli che sono in attivita' da chissa' quante generazioni e che nel pentolone del brodo fanno bollire non solo ingredienti freschissimi e di prima qualita', ma anche un bouquet garni composto da fierezza e vecchie tradizioni.
E' in questi vecchi ramen shoppu dove si trova la maestria nel saper preparare questo piatto dall'aria cosi' umile e senza pretese che, pero', richiede grande bravura.

A me piace sempre scherzare con la mia amica Kyoko dicendole che i ramen sono uno dei miei piatti giapponesi preferiti perche' poi so che lei, con aria stupita ed interrogativa, mi ricorda che pero' i ramen sono cinesi...e non giapponesi! In realta', come gia' scrissi in precedenza qui sul blog, le origini dei ramen sono cinesi ma al giorno d'oggi in Cina non esiste un piatto simile ai ramen o che possa essere paragonato a quest'ultimo come sapore e presentazione.
Quindi, i cinesi dicono assolutamente che i ramen sono un pastrocchio giapponese che tenta di scimmiottare i loro piatti, mentre i giapponesi considerano i ramen una specialita' del vecchio Regno di Mezzo tant'e' che, generalmente, la parola ramen viene scritta in katakana ラーメン, anche se al giorno d'oggi e' comunissimo trovarla scritta in hiragana, soprattutto cosi':

らぁめん
らーめん

Sull'insegna di qualche vecchissimo ristorante si trova la parola ramen scritta addirittura interamente in kanji, oppure con solo la parola men trascritta in kanji:

老麺
らー麺
 (cosi' la troverete scritta sull'insegna del ramen shoppu di cui vi parlero' oggi)

I giapponesi considerano i ramen una specialita' cinese tant'e' vero che questi vengono sempre serviti in scodelle dallo stile molto cinese in quanto a decorazioni, colore, forma ecc.
Le mie due scodelle da ramen che vedete in alto, infatti, hanno elementi decorativi cinesi quali il drago, il pavone oppure il bellissimo carattere cinese
shuang xi dal propiziatorio significato di "doppia felicita'".

Pertanto, non troverete mai i ramen nelle delicate e piccole scodelle laccate da zuppa di miso oppure in altro vasellame tipico della cucina tradizionale giapponese. No, i ramen sono sempre in scodelloni grandi perche' sono un piatto unico che deve saziare e subito, senza ricorrere ad altri piatti e piattini.

Domenica, dopo quasi due giorni di una terribile emicrania che mi ha tenuta a casa, sono riuscita finalmente ad uscire per prendere una boccata d'aria assieme a mio marito. Avevamo fame, e l'aria fredda ci ha fatto venire voglia di ramen. Ci siamo cosi' messi alla ricerca di un ramen shoppu dove non fossimo mai stati prima, e strada facendo ci siamo ricordati di un microscopico locale nascosto in un'addormentata viuzza della sileziosa e quasi grigia cittadina di Hon Atsugi.
Eravamo passati davanti quel locale alcune settimane prima, ed eravamo rimasti colpiti dal numero di persone che, pazientemente, aspettavano in fila il proprio turno.

Non e' tanto il battage pubblicitario dei ramen shoppu a convincere i potenziali clienti, quanto il passaparola e le file di persone in attesa di un posticino su uno dei piccoli sgabelli di legno del ristorante. In zone poco famose e poco movimentate, poi, la presenza di cosi' tante persone in fila davanti ad un ramen shoppu significa una cosa sola: in quel pentolone bolle un brodo da sogno e in quelle scodelle viene versato un pezzo di paradiso che difficilmente si dimentichera'.

Il piccolo ramen shoppu nell'anonima viuzza della grigia ed addormentata Hon Atsugi si chiama 本丸亭 honmaru-tei. Eccolo qui:
Come vedete, un localino minuscolo.
Noi abbiamo scattato questa foto poco dopo essere usciti dal locale, e come vedete fuori non c'era gia' piu' nessuno perche' stavano per chiudere, infatti il のれん noren bianco (quella tendina che viene sempre esposta fuori dai locali giapponesi) era gia' stato ritirato. Fino ad una decina di minuti prima, pero', il marciapiede era pieno di persone in un'ordinata fila indiana.

La specialita' di Honmaru-tei sono gli 塩らーめん shio-raamen, ossia ramen al brodo di sale. Il nome, per quanto possa spaventare anche i non ipertesi, in realta' si chiama cosi' perche' non contiene molti condimenti, e soprattutto non contiene salsa di soia, ed e' per questo che il brodo degli shio-ramen in genere e' molto chiaro.

Tutto il menu' di Honmaru-tei e' composto da alcuni variazioni di shio-ramen, gyooza brasati e gyooza bolliti. Purtroppo, pero', quando siamo arrivati noi avevano finito tutti i gyooza!

Ecco i miei honmaru-tei shio-ramen:
Come vedete, il brodo e' chiaro. Il sapore era leggerissimo eppure cosi' gustoso! Ma la cosa che piu' ci ha stupiti e' stato l'odore particolarissimo che si sentiva all'interno di questo ramen shoppu. Si capiva che era una qualche spezia o erbetta, ma non riuscivamo a capire di cosa si trattasse esattamente. Quando mi hanno portato questa scodella, il profumo era cosi' intenso che ho immediatamente capito che l'odore proveniva da quell'erbetta verde che vedete vicino alla carne. L'odore e' molto simile a quello della salvia, ma il gusto non ci assomiglia granche'. Il sapore e' particolarmente aromatico e ha un nonsoche' di selvatico, ma e' stranamente gradevole.
Ho poi scoperto che l'erbetta in questione sono foglie di crisantemo giallo!

Le foglioline di crisantemo giallo erano presenti anche nei ramen di mio marito, anzi...erano presenti in tutti i ramen del menu' perche' e' proprio grazie al profumo e al sapore di quest'erbetta cosi' insolita che Honmaru-tei deve il suo successo e la sua popolarita'.
E' proprio l'aggiunta del crisantemo giallo a rendere il brodo cosi' aromatico e cosi' diverso da qualunque altro brodo che abbiamo mai assaggiato!
I ramen di mio marito erano naturalmente shio-ramen, con l'aggiunta di wantan (ravioli cinesi bolliti e ripieni di gamberi e zenzero), e un bel mazzetto delle profumatissime foglioline di crisantemo giallo, noto in giapponese col nome di しゅんぎく shungiku.

Ecco qui un crisantemo giallo con le sue profumatissime foglioline commestibili:
Abbiamo annoverato anche Honmaru-tei, vecchio ramen-shoppu di origini osakesi, nella nostra lista dei migliori ramen shoppu fino adesso esplorati. Da Honmaru-tei danno precedenza al delicatissimo sapore degli shio-ramen rivisto pero' in chiave originale grazie alla presenza delle foglie di shungiku, un'aggiunta senz'altro particolare e decisamente sconosciuta ai piu'.

giovedì, settembre 25, 2008

Garam chai, marmellata di yuzu e varie

Non credo di averne mai parlato, ma ho una grande passione per i film Bollywood, ossia i film in lingua hindi o in lingua gujarati, spesso girati e/o ambientati a Bombay (ora chiamata Mumbai).
Mi affascinano particolarmente i vecchi film Bollywood perche' propongono uno spaccato di India tradizionalista, caratterizzata da una societa' ancora molto di stampo patriarcale ma comunque incentrata su nobili valori quali la famiglia, l'amicizia e l'onesta'. Sono film con una morale, pero' sono anche film che non si limitano a fare il predicozio allo spettatore, ma mirano ad incantarlo attraverso una storia semplice che viene interpretata mediante dialoghi eccellenti, ambientazioni realiste e per questo magnifiche; a tutto questo, aggiungete meravigliose musiche e danze e avrete un capolavoro bollywoodiano.
Diciamo che i film Bollywood sono tipo musical, dove pero' la musica e la danza ricoprono un ruolo tanto importante quanto la trama e la sceneggiatura.

Fino adesso ho visto tanti, tanti vecchi film Bollywood, ma il mio preferito in assoluto rimane Bawarchi:
Bawarchi, in lingua hindi, significa "cuoco".
Questo classico film indiano dei primi anni '70, racconta la storia di una famiglia tradizionale i cui membri, per motivi vari, vanno poco d'accordo fra di loro. Questa litigiosa famiglia, inoltre, sembra essere capace di far scappare, nel giro di breve tempo, qualunque cuoco o cameriere assunto. Il film, infatti, comincia proprio con la fuga dell'ennesimo cuoco che, dopo aver perso tutta la pazienza di cui disponeva, decide di andarsene, lasciando la famiglia Sharma nei guai. Grazie al cielo, pero', in aiuto arriva Raghu (interpretato dal leggendario Rajesh Khanna - l'attore che vedete sulla copertina del film) un cuoco dai mille talenti e che, in modo completamente inaspettato, riuscira' a riportare pace ed armonia a questa famiglia cosi' polemica.
Insomma, un bellissimo film che, senza bisogno alcuno di ricorrere ne' a violenza ne' ad un linguaggio volgare, riesce ad affascinare lo spettatore, tenendolo incollato allo schermo.
Se doveste trovarlo, guardatelo perche' merita davvero.

E in quasi tutti i film indiani, compare sempre una bevanda: il garam chai o masala chai.
In inglese questa bevanda e' nota semplicemente col nome di chai, ma in realta' questa parola non andrebbe usata da sola in quanto il suo unico significato e' quello di te'.
Notare la grande somiglianza, in questo senso, fra il giapponese, il cinese e l'hindi, infatti in queste tre lingue la parola TE' si scrive, rispettivamente:

cha
cha2 (pronunciata col secondo tono, ossia ascendente)
चाय chai

Il garam chai, o masala chai, e' una bevanda indiana tradizionale a base di te' nero, latte e spezie varie.

Siccome generalmente l'idea del latte mischiato al te' mi repelle abbastanza, il garam chai non mi attirava particolarmente.
Cio' nonostante, a forza di vedere film indiani in cui la gente sembra tracannare litri di garam chai al giorno, questa bevanda ha incominciato ad incuriosirmi.

Ecco una scena di "Bawarchi" dove Raghu serve da bere ad uno dei membri della famiglia, il signor Ramnath. Tra le varie cose che gli porta, c'e' anche una tazza (quella bianca in fondo a sinistra) di....indovinate un po'? Esatto! Di garam chai!
E cosi', dopo essermi rivista per la milionesima volta "Bawarchi", la settimana scorsa sono andata in cerca delle spezie per prepararmi una tazza di garam chai.

Non volendo buttarmi a capofitto su di un qualcosa di cui non ero sicura, ho pensato fosse meglio comprare poche spezie e sperimentare un po'. In uno splendido negozio di alimentari a Machida, ho trovato proprio cio' che faceva al caso mio: un mix di spezie della Gaban (ottima marca giapponese di condimenti e spezie) per il garam chai.
Il pacchetto era piccolino, insomma l'ideale per provare a preparare la bevanda un paio di volte, senza ritrovarsi con kili di spezie da far fuori.
Sull'etichetta blu, come vedete dalla foto, c'e' anche una semplicissima ricetta per preparare il garam-chai con le spezie del pacchetto. Ho infatti seguito proprio la ricetta che vedete e il risultato e' stato ottimo!

L'unica modifica che ho apportato e' stato l'utilizzo del latte di soia al posto di quello vaccino poiche', essendo intollerante al lattosio, quest'ultimo non lo posso bere, e anche potessi berlo, non lo farei perche' non mi piace.
Ma per il resto, ho seguito fedelmente le istruzioni sulla confezione.

Pare che non esista una ricetta unica ed ufficiale per preparare il garam chai, ma che ogni famiglia abbia la propria versione. Penso che sia un po' come per il minestrone: ognuno ha il proprio ingrediente segreto che dovrebbe rendere il tutto piu' speciale e gustoso.
Inoltre, non e' solo la miscela di spezie e le loro quantita' a cambiare da versione a versione, ma anche i metodi di preparazione. C'e', per esempio, chi prepara il te' con le spezie e poi all'ultimo aggiunge il latte, mentre c'e' chi invece preferisce far bollire il latte con le spezie e aggiungervi il te' all'ultimo momento.

Comunque sia, in linea di massima le spezie fondamentali per il garam chai sono:

la cannella (quella normale, anche se penso che quella vietnamita sarebbe il massimo)
chiodi di garofano
cardamomo
pepe nero

Ahh..il cardamomo...spezia dal celestiale profumo! Questi sono i semi di cardamomo contenuti nel pacchetto:
Il cardamomo va prima leggermente frantumato:
cosi' facendo, i semi rilasciano un profumo meraviglioso e che mi viene difficile descrivere! Se non fosse che il cardamomo e' una delle spezie piu' costose del mondo (dopo lo zafferano e la vaniglia), ne farei una scorta gigante per potermi poi sbizzarrire ad usarlo in cucina, dai primi ai dolci!

La ricetta dice di frantumare leggermente solo il cardamomo, e di mettere poi tutte le spezie in un pentolino, assieme alla dose consigliata d'acqua.
Si porta il tutto ad ebollizione, dopodiche' si aggiunge il te' nero. Pare che la varieta' di te' migliore da usare sia l'Assam, per motivi di sapore e per ovvie ragioni di provenienza geografica, ma che un qualunque altro te' nero vada bene lo stesso. Io ho usato dell'Earl Grey della Twinings (il mio preferito!).
Si lascia sobbollire il tutto per tre minuti, dopodiche' si aggiungono il latte e lo zucchero secondo le dosi consigliate. E come dicevo prima, io ho sostituito il latte vaccino con quello di soia.
A questo punto si aspetta che il garam chai riprenda a sobbollire, dopodiche' si contano altri tre minuti e poi si spegne il fuoco. E ora si deve filtrare la bevanda, facendola passare attraverso un colino per eliminare le spezie.
Per casa, come potrete immaginare, c'era un meraviglioso profumo di spezie!

Per l'occasione, ho rispolverato una tazza che fa parte di uno splendido servizio che arriva dal Messico, nonche' magnifico regalo di mia cognata Rosa. Il servizio e' da caffe' ed e' interamente fatto di terracotta modellata e dipinta a mano di un bellissimo verde scuro! Una meraviglia!

Ed ecco il mio garam chai, pronto per essere sorseggiato con calma...magari accompagnato da un incantevole film tipo "Bawarchi" o "Anand".
Una bevanda semplice da preparare quanto fragrante e deliziosa! La rifaro' sicuramente, provando magari a giocare un po' con le dosi delle spezie e del te' nel tentativo di rendere il sapore un po' piu' intenso.

Ma chiudendo questa lunga parentesi indiana e ritornando in tema, cioe' il Giappone, vi racconto un fatto: a pochi metri da casa nostra c'e' un condominio dove abita una signora anziana molto cordiale e gentile. La figlia di questa signora, ogni tanto, va a farle visita, e non sapendo dove lasciare la macchina, puntualmente ogni volta mi suona al campanello chiedendomi se puo' parcheggiare l'auto davanti a casa nostra, e siccome noi davanti casa abbiamo abbastanza posto per circa tre auto, non mi oppongo mai.
E comunque, il volermi chiedere ogni volta il permesso e' un gesto cosi' civile e garbato che anche non avessi il posto, cercherei di aiutarla in qualche modo.

Mesi fa, dopo che la figlia mi aveva chiesto se poteva lasciare l'auto qui davanti, una sera sento suonare il campanello e dal videocitofono vedo che c'era un'anziana signora sorridente con un pacchettino. Dopo aver aperto la porta, la signora mi ha spiegato chi fosse e, volendomi ringraziare per la mia disponibilita', mi ha portato del caffe'. Rimasi talmente stupita per questo gesto cosi' gentile che non sapevo nemmeno cosa dire.

La settimana scorsa, la figlia della signora ha suonato di nuovo al mio campanello chiedendomi di poter lasciare l'auto per una mezzoretta, davanti casa. Io, come al solito, ho detto di si' e le ho detto di non preoccuparsi perche' non c'era problema.

Quella stessa sera, e' suonato il campanello e dal videocitofono ho visto che era di nuovo quella signora anziana, cioe' la mamma della proprietaria dell'auto.

La signora, sorridente e in modo molto garbato, mi ha spiegato che voleva ringraziarmi nuovamente per la mia disponibilita'. Con fare aggraziato e delicato, mi ha dato un bellissimo pacchetto rosa, proveniente dall'elegantissimo Takashimaya:
Io ero sempre piu' stupita, tant'e' che non sapevo come ringraziarla anche perche' non c'era bisogno che si sdebitassero cosi'; d'altra parte a me non arreca nessun fastidio che la figlia lasci la macchina qui davanti, specialmente visto che sono sempre molto puntuali nel venirla a riprendere. Ma comunque, anche la lasciasssero un'intera giornata, non ci creerebbe alcun problema.

La gentilezza e la premura dei giapponesi e' veramente disarmante. Credetemi.

Con calma e con molta attenzione, ho poi scartato quel delicato pacchetto. Guardate che dolcini meravigliosi c'erano dentro! E guardate con che cura sono confezionati e presentati i dolci:


Sono pasticcini di pastasfoglia, ricoperti di cioccolato. Una squisitezza che non vi dico!

Sono gesti come questi che mi lasciano a bocca aperta e che mi fanno credere, alle volte, di essere su di un altro pianeta.

Da questo episodio si arriva all'elementare - e purtroppo eccessivamente trascurata - conclusione che basta veramente solo un briciolo di cortesia e di buona educazione per allietare non solo i rapporti di vicinato, ma anche i rapporti tra amici, parenti e...perche' no, estranei.
Certo, non e' il regalo l'aspetto essenziale (anche se, diciamocelo, e' sicuramente un qualcosa che fa piacere), ma il semplice fatto di essere civili, educati e rispettosi nei confronti degli altri a rendere tutto piu' piacevole, non vi pare?

In seguito a questo episodio, ho riflettuto su un fatto simile (ma con esito ben diverso) accaduto ai miei a Torino i quali abitano al pianterreno di una palazzina. Le finestre dell'alloggio si affacciano su di un cortile attraverso cui transitano persone e veicoli.
Innumerevoli sono le discussioni accese che i miei hanno avuto, negli anni, con gentaccia maleducata che, senza il benche' minimo riguardo, parcheggiava la propria auto o furgoncino davanti una delle finestre di casa mia, oscurando buona parte del piccolo alloggio.

Ora, sarebbe semplicemente bastato chiedere il permesso ai miei, senza arrogarsi il diritto di parcheggiare abusivamente in quel modo, arrecando per giunta grande disagio ad altre persone.
Chiedendo in modo educato si sarebbero evitate amare discussioni.

Veramente, delle volte basta proprio poco per evitare spiacevoli battibecchi. Basta essere un briciolino civili ed educati, senza pensare sempre solo a se' stessi e alle proprie esigenze, a scapito magari degli altri.

Termino l'articoletto di oggi mostrandovi una piccola meraviglia che ho acquistato nello stesso negozio dove ho trovato le spezie per il garam chai: la marmellata di yuzu.
Vi ricordate dello yuzu, questo profumatissimo agrume giapponese? Ve ne ho parlato brevemente nell'articoletto dedicato ai condimenti del Giappone, ossia QUI.

Ho sentito parlare spesso della marmellata di yuzu, soprattutto tramite la televisione, e poi recentemente da Yumiko-san, una mia compagna di universita', particolarmente golosa di questa specialita' giapponese.

Questa marmellata proviene da 高知県 Koochi-ken, ossia dalla prefettura di Koochi, a Shikoku, nel sud del Giappone.

In realta', anche se la chiamo marmellata, si tratta di una sorta di te'. Strano, vero? Sull'etichetta del barattolo, infatti, c'e' scritto ゆず茶 yuzu-cha, ossia te' di yuzu. E perche' mai, vi starete chiedendo?
Nelle istruzioni stampate sull'etichetta, infatti, consigliano di sciogliere un quattro o cinque cucchiaini di questa specie di marmellata in acqua calda o fredda (a seconda delle proprie preferenze), ottenendo cosi' una specie di te'!

Ma comunque per questo te'-marmellata sono previsti usi piu' tradizionali, proprio come quelli di marmellate normali e cioe' viene consigliato di usarla sulle fette biscottate, fette di pane, e addirittura per dare un tocco in piu' a del gelato!

Questa varieta' che ho comprato, tra l'altro, contiene miele quindi non sara' nemmeno necessario aggiungere zucchero! Evviva!

Temino qui l'articoletto, mandandovi saluti da un Kanagawa autunnale.

Ieri ho dato un esamone di giapponese che e' andato alla grande (sospiro di sollievo!), e oggi mi sento sollevata anche se un po' debole; mi sento come se mi stesse venendo un po' d'influenza, ma speriamo di no.
In ogni caso, coloro che hanno un ordine in sospeso col mio bazar riceveranno presto una risposta od aggiornamento.
Grazie per la pazienza e buon fine settimana!

mercoledì, settembre 17, 2008

Condimenti e salse giapponesi

Nell'articoletto di ieri, Ginevra ha lasciato un commento chiedendomi di parlare un po' delle salse e dei condimenti giapponesi, e cosi', approfittando della mattinata libera, ho pensato di darmi da fare.

Innanzitutto, devo fare una breve premessa: le salse e i condimenti in uso qui in Giappone sono numerosissimi, e quindi non riuscirei sicuramente ad affrontare l'argomento in modo del tutto esauriente in questo articoletto, ma ho pensato di cominciare a presentarvi alcuni condimenti, partendo da quelli che ho in casa e che uso con maggior frequenza, lasciando in seguito spazio a quelli che uso piu' raramente, o che addirittura non uso mai.

Spero che questo articoletto vi possa tornare utile nello scegliere che ingredienti giapponesi acquistare per i vostri esperimenti culinari, senza farvi mettere in soggezione dalle etichette.
Queste che vedete in alto sono alcune bottiglie di condimenti vari che ho, al momento, nel frigo.
Partendo da sinistra, in senso orario:

- Aceto di riso
- Mirin
- Salsa di soia
- Tsuyu
- Salsa per tonkatsu

Le due bottiglie in mezzo, invece, sono:

- Salsa tamari per sashimi (col tappo rosso)
- Salsa ponzu

Ora vi parlero' di ognuno di questi condimenti un po' piu' nel dettaglio, piu' un paio di altri che ho poi pensato d'includere.
Salsa di soia
しょうゆ

Cominciamo con la salsa di soia, nonche' la regina indiscussa dei condimenti giapponesi, ma anche cinesi.
Non vi sto a spiegare come viene prodotta la salsa di soia poiche', immagino, siate gia' abbondantemente al corrente sui metodi di produzione di questo antico condimento.
Va detto che di salsa di soia ne esistono tanti tipi in commercio, e variano molto a seconda del Paese.

Qui la salsa di soia, che viene chiamata しょうゆ shooyu, si suddivide, principalmente, in: scura, chiara, saishikomi, tamari e shiro-shooyu.

La salsa di soia scura, chiamata こいくち koikuchi, e' quella che viene utilizzata piu' comunemente in cucina, e contiene soia e frumento in quantita' uguali. La maggior parte della salsa di soia acquistata qui in Giappone, appartiene proprio a questa categoria. E se in casa avete della salsa di soia giapponese, con molta probabilita' e' di questa varieta'.

La salsa di soia chiara, chiamata うすくち usukuchi, come sapore e' molto simile a quella scura, solo che ha un colore leggermente piu' ambrato e si addice a quelle preparazioni in cui il colore della shooyu normale imbruttirebbe un po' l'estetica del risultato finale. Per esempio, la salsa di soia chiara sarebbe l'ideale da usare nel tamagoyaki (anche se la ometto del tutto) per non rovinare quel bel giallo vivo dell'omelette giapponese.

La salsa di soia さいしこみ saishikomi, invece, e' molto forte e contiene soia in quantita' molto elevate. Ha una consistenza abbastanza densa ed e' di un intenso color scuro, quasi nero. La saishikomi viene utilizzata di solito per il sashimi. Questo e' un tipo di salsa di soia molto pregiato, paragonabile ad un vino d'annata poiche' anche la saishikomi, generalmente, viene lasciata invecchiare, acquisendo cosi' un sapore tutto suo.
E' inutile dire che la saishikomi e' un tipo di salsa di soia costosetto, e quindi che si acquista in occasioni speciali, e non e' di certo un ingrediente da tutti i giorni.

La salsa たまり tamari, invece, e' molto simile alla saishikomi in quanto a colore e consistenza. In genere, la tamari contiene solo soia e nessuna traccia di frumento, ed e' proprio questa caratteristica che distingue la tamari da tutte le altre salse di soia, elevandola all'agognato ruolo di condimento principe.
La salsa tamari, come la saishikomi, e' in genere costosa e viene usata per il sashimi (soprattutto!), sushi, ma si addice anche ad altri piatti.
Si dice che la tamari sia la vera salsa di soia, e quella che piu' di ogni altra si avvicini al sapore della salsa di soia originale importata dalla Cina secoli fa.
La tamari ha un sapore molto intenso, ma estremamente gradevole, tant'e' che io la preferisco alla koikuchi, sebbene utilizzi piu' frequentemente quest'ultima poiche' e' decisamente piu' economica.
Grazie all'assenza di frumento tra gli ingredienti, la salsa tamari e' l'ideale anche per chi e' allergico al frumento o altri cereali.

La 白しょうゆ shiro-shooyu, ossia salsa di soia bianca, in realta' si chiama cosi' perche' e' di colore molto chiaro, ancora piu' chiaro della usukuchi.
La shiro-shooyu contiene piu' che tutto frumento e pochissima soia, ed e' l'ideale per quei piatti dove e' necessario il sapore della salsa di soia, ma dove non si vuole il colore scuro che rovinerebbe la parte estetica del piatto.

Queste, quindi, sono le varieta' principali. Vi sono molte altre distinzioni che si possono fare, soprattutto in base alle percentuali esatte di frumento contenute nelle varieta' prese in esame, all'annata, alla zona di provenienza, ecc.

La salsa di soia che ho io (che vedete nella foto) e' una semplice koikuchi che uso essenzialmente per cucinare. Questa salsa di soia, pero', e' anche 有機 yuuki, ossia biologica.
Questa, invece, e' la salsa di soia tamari. Sull'etichetta, c'e' infatti scritto さしみたまり sashimi tamari.
Come vedete, il colore e' molto piu' scuro dell'altra salsa di soia appena vista, e anche la consistenza e' diversa.

Ecco qui i due scodellini cosicche' possiate paragonare le due salse:
La salsa di soia in generale, comunque, e' un ingrediente cardine della cucina giapponese e che sta alla base di quasi tutti i piatti del repertorio gastronomico di questo Paese.
Troviamo la salsa di soia nelle marinate, in certi brodi, in intingoli, in salsette di vario genere e persino in certi dolci!

Da diversi anni, ormai, in commercio esistono anche le salse di soia a basso contenuto di sale, e in genere si contraddistinguono dalle altre grazie ad etichette (o tappi) di color verde.
Qui in Giappone questa varieta' iposodica e' abbastanza diffusa, ma non ancora del tutto apprezzata. Molti giapponesi credono che questo tipo di salsa di soia abbia un sapore non proprio gradevole, e che comunque sia decisamente diversa da quella a cui sono abituati.
Rimane comunque un'ottima alternativa per chi ha problemi di salute, in particolare di peso o di pressione alta, e quindi non andrei troppo per il sottile.

Salsa ponzu
ぽんずしょうゆ

La salsa ponzu e' una di quelle cose che provoca, nella gente, reazioni estremamente positive oppure estremamente negative. Insomma, e' difficile restare neutri annusando ed assaggiando questo particolare condimento. Ma di che si tratta?
Essenzialmente, la salsa ponzu e' salsa di soia mischiata con succo di ゆyuzu , un agrume giapponese.
Lo yuzu e' un agrume profumatissimo, e dal sapore particolare che e' a meta' tra il mandarino, il lime, il bergamotto e l'arancia.
Qui in Giappone, questo agrume viene utilizzato principalmente in cucina (in particolare la profumatissima scorza), e nell'industria cosmetica.

La salsa ponzu viene tradizionalmente usata per accompagnare lo shabu-shabu, il sukiyaki e il tataki (una sorta di carpaccio giapponese, di carne o pesce, che pero' viene leggermente saltato in padella).

Su molti ricettari, e sulle bottiglie stesse di alcune marche di ponzu, viene consigliato di usare questo condimento anche per insaporire insalate varie, ed effettivamente l'idea non e' affatto male poiche' la ponzu sposa magnificamente bene il sapore della salsa di soia con quello rifrescante e piacevolmente acidulo-dolce dello yuzu, creando un ottimo accompagnamento per le insalate...una gustosa alternativa all'accoppiata olio d'oliva e aceto.

Nelle salse ponzu in commercio si notano spesso dei residui di yuzu che si depositano sul fondo oppure sul collo della bottiglia, finendo anche nei piattini in cui la si serve. Questo, ovviamente, non e' un problema poiche' sono semplicemente residui di polpa dell'agrume in questione.

Se la salsa ponzu v'incuriosisce ma non riuscite a trovarla nei negozi di alimentari orientali della vostra citta', provate a prepararvela in casa! Ecco qui una semplice ricetta che pero' sostituisce lo yuzu col comune limone. Io, pero', al posto del limone puro, vi consiglierei una miscela di limone e pompelmo, oppure limone, pompelmo e mandarino.

Aceto di riso
 Su

Questo e' del normale aceto di riso, ingrediente indispensabile per preparare il riso per sushi.
A questo punto, pero', e' doverosa una precisazione:

molti pensano che tutto il riso che i giapponesi mangiano sia sempre condito con l'aceto di riso. Niente di piu' falso.
I giapponesi consumano prevalentemente riso bianco cotto al vapore, e senza l'aggiunta di nessun ingrediente, nemmeno di sale. In pratica, il riso al vapore e' solo riso cotto in acqua, e basta.

Se pero' si vuole preparare del sushi a base di riso (nigiri, maki, chirashi ecc.), allora questo andra' preparato con l'aceto.
Confesso di non essere molto brava a preparare il riso per sushi, ma se interessa una ricetta per farlo, ne postero' una prossimamente.

Lo stesso discorso vale per gli onigiri: non si preparano con il riso per il sushi, e quindi il riso per gli onigiri non contiene mai aceto, ma e' semplice riso bianco cotto al vapore che viene, eventualmente, aromatizzato con l'aggiunta di furikake ecc.

L'aceto di riso, che in giapponese si chiama 酢 su, viene utilizzato principalmente per insaporire il riso per il sushi, ma anche per dare sapore ad insalate e salse varie.

Un piccolo aneddoto comico che, oramai, non potro' mai piu' dissociare da questo condimento:
l'anno scorso siamo stati invitati a casa di un collega di mio marito per festeggiare il Thanksgiving Day, o Giorno del Ringraziamento.
Dopo essere arrivati a casa di questa coppia, oltre ad essere stati accolti dai loro abbracci e sorrisi, siamo stati accolti anche da un fortissimo odore di aceto che permeava per tutta la casa.
Vedendo i nostri volti interrogativi, i nostri amici hanno subito spiegato il perche' di tale odorino pungente: un altro collega, arrivato prima di noi, era stato mandato da loro al supermercato a prendere qualche bottiglia d'olio vegetale, necessario per la cottura-frittura del tacchino.
Il collega, che non sa ne' leggere ne' parlare giapponese, si e' messo alla ricerca dell'olio ed e' finito davanti allo scaffale dell'aceto. Vedendo quell'aceto di colore chiaro, ha pensato fosse olio (anche se non capisco come la consistenza palesemente liquida dell'aceto non l'abbia insospettito), ed e' tornato con una scorta da caserma di su.
Per non dover tornare un'altra volta al supermercato (abbastanza distante da casa), hanno pensato di arrangiarsi e cuocere il tacchino in modo un po' piu' creativo, e cioe' con l'aceto di riso.

Il risultato non era per niente terribile come ci si poteva aspettare, anzi! Pero', ora, ogni volta che vedo una bottiglia di su, non riesco a non pensare a quel Thanksgiving acetoso!
Tsuyu
つゆ


Le tsuyu non sono altro che brodi molto concentrati, venduti in bottiglia e pronti per essere utilizzati, a patto che prima pero' vengano diluiti in acqua secondo indicazioni precise che appaiono, di solito, sulle etichette. Queste indicazioni variano in base all'uso che si vuole fare del brodo in questione.
Di tsuyu ne esistono tanti tanti tipi, ma sono tutti essenzialmente a base di: salsa di soia, dashi (di pesce bonito, di alga konbu, di sardine ecc.), zucchero e sale.

Alcune tsuyu sono piu' indicate per accompagnare la soba od altri spaghettini da servire freddi (tipo la prima bottiglia, quella con l'etichetta arancione), mentre altri sono consigliati per insaporire piatti caldi tipo l'oden o il sukiyaki. Le tsuyu indicate per i piatti caldi, generalmente, contengono una miscela di dashi di pesce dal gusto forte, tipo il dashi di sardine.

Olio di sesamo
ごま油 Goma-abura
L'olio di sesamo e' uno dei condimenti base della cucina giapponese e di quella cinese, nonche' di altre cucine del sud-est asiatico.
E' un olio ottenuto dai semi di sesamo, e ha un fortissimo odore di sesamo tostato. L'olio di sesamo viene usato per far saltare cibi in padella (soprattutto carne e verdure) e per le rosolature.
Si usa anche per insaporire salse varie, tipo quella per i gyoza che prevede l'uso di salsa di soia e olio piccante di sesamo.
Si consiglia un uso parsimonioso dell'olio di sesamo in cucina per via del suo sapore molto intenso che puo' tranquillamente rovinare un piatto se non lo so si sa dosare bene.

Mirin
みりん
Il mirin e' una specie di sake' dolciastro, utilizzato in cucina, specialmente per la preparazione di carni, pesce, ma anche di salse per verdure. E' uno dei condimenti basilari della cucina giapponese, assieme alla salsa di soia e al dashi.
Se non avete il mirin in casa, lo potete sostituire (anche se il sapore cambia un po') con del normale sake' da bere. Non sostituite il mirin col vino bianco; piuttosto saltatelo.
Un'ultima raccomandazione: ricordate che il mirin si usa solo per cucinare, e non sostituisce il sake' da bere!

Salsa per tonkatsu
とんかつソース
La salsa per tonkatsu (braciola di maiale impanata a fritta) e' molto aromatica, speziata e dolce, simile alla salsa Worcestershire, ma di consistenza piu' densa.
Questa salsa, pero', viene usata non solo per accompagnare il tonkatsu, ma anche per altri fritti in generale, ad eccezion fatta per il tenpura. La salsa che accompagna quest'ultimo e' sempre e solo una tsuyu.
Della salsa tonkatsu, la marca Bulldog e' una delle migliori. Se non la trovate, pero', potete provare a farvela in casa seguendo la ricetta che postai sull'articoletto dedicato al tonkatsu, ossia qui.

Per il momento, termino qui l'articoletto nella speranza di essere riuscita a far maggior chiarezza sui tanti tipi di condimenti presenti nella cucina giapponese.

Prossimamente, vorrei cercare di mettere in primo piano il miso, dedicandogli quindi un intero articoletto, ed esplorare assieme a voi altri condimenti e varieta' assortite di salse di soia.

Se ci sono domande, chiedete pure!

martedì, settembre 16, 2008

Kisaku e qualche Mariannata

Kisaku 気さく e' un aggettivo che significa "socievole" o di "buon'umore".

Conoscevate questa parola? Nemmeno io, fino ad alcuni mesi fa quando ho fatto una curiosa scoperta: Ishii-san ci ha detto che il terreno su cui sorge la casa in cui abitiamo era, fino a poco tempo fa, occupato da una 寿司屋 sushi-ya di nome Kisaku!

A dire il vero, Ishii-san ci ha semplicemente detto che qui c'era una sushi-ya, e basta...senza fornire ulteriori particolari.

Poco tempo dopo, pero', mi e' arrivato per posta un avviso con cui il Comitato di zona avvertiva i residenti che il tal giorno ci sarebbero stati dei lavori stradali (tanto per cambiare! Qui in Giappone ci sono SEMPRE lavori stradali in corso), e consigliavano di regolarsi di conseguenza dato che per un giorno o due non sarebbe stato possibile transitare in auto su un determinato tratto del corso principale.
Per illustrare meglio il caotico progetto SpaccaCemento & Martelli Pneumatici Ballerini, sull'avviso era riportata una sorta di mappa che metteva in evidenza le aree che sarebbero state, man mano, chiuse al traffico.

Ho guardato bene, ma non riuscivo a trovare casa mia. "E com'e' possibile?", mi sono chiesta.
Partendo dallo scoraggiante presupposto che con le cartine e mappe sono una Frana con la F maiuscola, non mi sono per niente stupita della mia sensazione di smarrimento.
Con le sopracciglia leggermente aggrottate, gli occhi lievemente socchiusi e con lo sguardo di chi sta cercando di risolvere un rompicapo complesso, guardavo e riguardavo quella mappa scarna e avara di dettagli.
"Dunque, se cui c'e' la bottiglieria di Hasegawa-san e la tintoria annessa, e qui c'e' Aida-san il barbiere", dicevo fra me e me, facendo scorrere il dito tra un punto e l'altro dell'illustrazione, " casa nostra dovrebbe essere proprio qui! E perche' non c'e'? Hanno persino disegnato la scuola materna che c'e' qua dietro, senza tralasciare nemmeno il negozio di bento alla francese*, chiuso ormai da millemila anni!".

Niente. Di casa nostra, neanche l'ombra.

Dimentica della notizia dataci da Ishii-san, pensavo fosse semplicemente stato fatto un errore di stampa.
Guardando meglio, pero', nel punto in cui avrebbe dovuto esserci casa nostra, c'era un grosso rettangolo con su scritto "気さく寿司", e cioe' Kisaku Sushi.

Non conoscendo nessun locale di nome Kisaku, ero sempre piu' confusa. "Ma dove sarebbe 'sto posto?", mi sono domandata mentre mi stava gia' scappando la pazienza. Ma poi...

"Ahhh, ecco!!!Ishii-san non aveva detto che qui c'era un ristorante di sushi?", ho esclamato, picchiandomi la fronte come quando si viene illuminati da un'idea improvvisa e luminosa!

Quindi, ecco trovato Kisaku...cioe' casa nostra.

*Il negozio di bento alla francese e' una stramberia del quartiere. Si tratta di un negozietto minuscolo, ma che e' chiuso da davvero tanto tempo. Noi quando siamo arrivati qui, l'abbiamo trovato gia' con la saracinesca chiusa ed arrugginita.
Pare che il negozietto preparasse bento freschi, da portare via, usando ricette francesi. Boh. Mi sa che l'idea era un briciolino troppo stravagante, e ha fatto la fine che molti temevano.

Ma passiamo alle Mariannate, ossia ai bento di mia produzione!

Questo e' il bento che ho preparato ieri a pranzo:
Vediamo, nel dettaglio, i contenuti:
餃子 gyooza bolliti di Osaka, con ripieno di maiale e zenzero shooga, accompagnati da un goccio di di squisitissima-divinissima tamari.
Piccoli onigiri assortiti. Ho giocato con sapori vari per creare abbinamenti gustosi, usando come spunto cio' che avevo a portata di mano e idee carine scovate sui miei bento-ricettari giapponesi.
Partendo dal primo onigiri in alto, in senso orario:
Furikake al salmone fresco e piselli
Shio-musubi (onigiri semplice bianco, con solo un briciolo di sale)
Goma-chiizu: onigiri a base di semi di sesamo nero e formaggio cheddar
Paprika e sesamo nero
Kimchi coreano, ma di produzione giapponese. Il kimchi sta diventando, ormai, uno dei miei cibi preferiti! Non solo pare faccia bene, ma e' saporito e molto rinfrescante! Questo qui in particolare, inoltre, e' poco piccante e quindi non mi costringe a scolarmi taniche d'acqua dopo ogni boccone.

E ora arriva la "star" del bento, o forse farei meglio a chiamarlo "l'impiastracucine":
Un indiavolatissimo trancio di sgombro さば (in giapponese, saba), insaporito con una marinata a base di mirin, sake, salsa di soia e pepe nero.

Ho scoperto che far cuocere lo sgombro alla griglia e' un'idea molto poco saggia, e che si addice solo a chi ama impestarsi la casa di un nauseante odore di pesce.

Credetemi, cucinarlo e' stata un'esperienza traumatizzante.
Innanzitutto, lo sgombro e' un pesce grassissimo e che, cuocendo (soprattutto alla griglia!) cola in un modo spaventoso, incrostando cosi' tanto la griglia da eliminare qualunque speranza di redenzione di quest'ultima.

Inoltre, ha la diabolica capacita' di attaccarsi testardamente alla griglia, senza possibilita' di scampo, cosicche' se si tenta di girare i tranci dall'altra parte, la pelle rimane incollata al metallo, bruciandosi inevitabilmente e provocando fumate nere e puzzolenti.
Per cuocere quel pezzetto li' che vedete, ci ho impiegato una quantita' di tempo vergognosa, ho impiastricciato tutto il fornello e appestato la cucina di un vomitevole odore di freschino che ho dovuto poi eliminare con un repulisti generale, armata di Marsiglia liquido e di Cif al limone (che qui si chiama ジフ Jifu). Volete vedere com'e' fatto il Cif giapponese? Ecco qui il mio:
Non c'e' da stupirsi, quindi, se attingendo dalla cultura culinaria tradizionale giapponese troviamo lo sgombro piu' che tutto cotto al vapore, oppure in umido, come nel famosissimo piatto さばのみそ煮 Saba no miso ni, preparato assieme a Kyoko proprio qui!
Indubbiamente, i giapponesi sono giunti alla mia stessa conclusione un bel po' di tempo fa.

Insomma, lezione imparata e messaggio recepito: mai piu' sgombro alla griglia nemmeno se me lo regalano.

Ma passiamo al bento di oggi:
Dall'alto, in senso orario:
Fettine di una succosissima e dolcissima arancia.
Cavolini di Bruxelles cotti al vapore e conditi con una salsa di sesamo, ed insaporiti con un tocco di peperoncino rosso frantumato.
Un rotolino di lattuga e striscioline di peperone arancione, fettine di satsumaimo (patata dolce giapponese) insaporite con del goma-shio, e tre shishitoo alla griglia.
Delle farfalle condite semplicemente con del buon olio di oliva, una spolveratina di blue cheese (una sorta di Bergader) e pepe nero.

Che ne pensate di questi due bento?

Prima di terminare quest'articoletto, vorrei innanzitutto ringraziare tutte le amiche che mi leggono, e che pur non commentando mai, mi hanno lasciato un messaggio qui sul blog l'altro giorno!! Grazie di cuore! Mi ha fatto molto piacere leggervi e spero vogliate continuare a seguire Biancorosso Giappone! Arigatoo!
E poi, a tutti voi che leggete questo blog, vorrei fare una domanda: fino adesso, qual e' stato il vostro articoletto preferito? Sono molto curiosa di saperlo perche' cosi' potro' dare preferenza a certi argomenti, rendendo la lettura piu' piacevole.

Un saluto da un Kanagawa assolato e con nell'aria l'allegro canto degli ultimi grilli di stagione.

venerdì, settembre 12, 2008

JLPT in vista e varie

Sono ufficialmente nei guai. Guai linguistici, s'intende.

Mi sono iscritta all'esame di terzo livello del JLPT, il Japanese Language Proficiency Test.

Cio' che vedete a sinistra e' una parte del plico che ho comprato ieri, alla libreria Sanseido, contenente tutta la modulistica necessaria per far domanda d'ammissione al 日本語能力試験 nihongo nōryoku shiken ossia il famoso esame che serve a misurare la propria conoscenza del giapponese.

Chi si trova in Giappone e vuole provare a dare questo esame, e' sufficiente che si rechi in una qualunque libreria per poter comprare il plico, fare il versamento alla posta tramite un apposito bollettino e spedire la ricevuta del pagamento assieme a quel modulo (che vedete in alto a sinistra) dovutamente compilato, ed una fototessera in formato 30x40mm.
L'esame ha luogo due volte l'anno, ed e' quindi bene sbrigarsi per tempo e non fare come ho fatto io che ho vergognosamente procrastinato fino all'ultimo perche' in preda ad una paura folle.

Non sono molto informata sulla trafila da seguire per chi non si trova in Giappone e desidera dare questo esame, ma immagino che il centro di cultura giapponese piu' vicino a voi sappia darvi tutte le dritte necessarie a riguardo.

La data dell'esame e' fissata per il 7 dicembre. A meta' novembre sapro' con esattezza dove sosterro' la prova e a che ora.

Ho deciso di iscrivermi al terzo livello perche' credo sia quello che rifletta la mia conoscenza attuale della lingua. Il quarto credo sia decisamente troppo semplice, mentre per il secondo non avrei abbastanza tempo per studiarmi il malloppone di kanji che mi mancano, per non parlare del keigo. E comunque, non mi sentirei per niente a mio agio al secondo livello.

Sono molto soddisfatta di me stessa per non essermi tirata indietro davanti a quest'opportunita', sebbene mi spaventi, e sono anche contenta perche' credo di aver raggiunto un buon traguardo; d'altra parte, e' meno di due anni che studio il giapponese e gia' potro' prender parte al terzo livello.

Anche il mio sensei ci ha consigliato il terzo livello, reputando il quarto decisamente troppo semplice per noi.
Mio marito, Kyoko e Kelly mi hanno incoraggiata a compiere questo passo, e quindi e' anche grazie a loro che ho preso questa decisione.

E adesso non mi resta che studiare, ripassare, studiare e ripassare fino a che mi usciranno gli occhi dalle orbite.

Chi fa il tifo per me?

Piccolo aneddoto comico: ieri sono andata con Kelly a comprare il plico. Lei aveva gia' inviato la sua domanda per il primo livello!!!!!
Siamo andate da Starbucks a prenderci un capuccino, e ci siamo sedute ad un tavolo per rivederci con calma i moduli; tra una chiacchierata a l'altra, a Kelly e' scappata una risata tale che ha sbrodolato un litro di caffe' sul modulo appena comprato!

Mi e' preso il panico e mi e' venuto da ridere al tempo stesso. Risata nervosa, la mia.

Il mio panico era comprensibile dal momento che non avevo piu' tanto tempo per presentare la domanda, e dal momento che nelle librerie ormai scarseggiavano i plichi.

Il modulo era tutto a pois bianchi e marroncini...insomma, non il tipo di modulo che si consiglia di inviare ad una commissione d'esame.

Kelly era mortificata, e sebbene abbia cercato di tranquillizzarla, ha voluto ritornare a tutti i costi da Sanseido a comprare un altro plico. E cosi' abbiamo fatto.
Beh, almeno ho potuto inviare tutta la domanda correttamente...e senza spruzzi di caffe'!

E stamattina, dopo essere andata a fare il versamento e aver spedito tutto quanto, mi sono incamminata per ritornare verso casa, ma prima mi sono fermata in farmacia dove mi sono comprata due cosine: il tonico Eudermine della Shiseido ed uno smalto di un delicatissimo rosa perlato.
La Shiseido vende l'Eudermine anche in altri Paesi, ma ad un prezzo spropositato. Mi ricordo che negli Stati Uniti si aggirava sui $45-50 per un botticino grande come il mio, e in Italia non oso pensare a che cifre arrivi.

Qui viene venduta in botticini diversi e costa veramente niente, e in piu' era scontata del 30%. Alla fine, l'ho pagata poco meno di tre euro!
E per pranzo, mi sono preparata uno shokadoo bento semplice semplice. Ecco qui:
Nel dettaglio, ecco il contenuto:
Riso al vapore. Da una parte, ho insaporito il riso con del furikake fresco al salmone, mentre dall'altra ho usato del semplice gomashio.
Del saporitissimo kimchi coreano, ma di produzione giapponese!
Un blocchetto del divino, ma che dico, sublime tofu Otokomae* accompagnato da un fiore di sakura di carota e da tre shishitoo alla griglia. Quel tofu e' cosi' buono che non serve nessun condimento!
Fettine di ovetto sodo, un altro sakura di carota, tre kappamaki, qualche oliva ed un briciolo di maionese giapponese con peperoncino rosso frantumato.

Era tutto delizioso!

*Otokomae e' una marca di tofu molto famosa qui in Giappone perche', attraverso un astuto battage pubblicitario, sono riusciti ad accrescere la popolarita' di questo alimento cosi' semplice, umile e tradizionale creando confezioni davvero originali e particolari. Persino il loro sito e' particolarissimo e riflette il loro stile stravagante e divertente (ricordatevi, pero', di tenere basso il volume perche' e' un sito molto sonoro!)

Il nome, 男前 otokomae, inoltre, significa "bell'uomo". Il nome e' stato scelto per potersi rivolgere principalmente ad un pubblico maschile poiche' pare che il tofu, negli ultimi anni, avesse registrato un calo d'interesse proprio da parte degli uomini, rimanendo un alimento prediletto piu' che tutto dalle donne.

Ma Otokomae e' un'azieda innovativa anche grazie alla loro ricetta "segreta" e grazie a cui il loro tofu e' talmente buono da non volerlo neanche condire nel timore di adulterarlo inutilmente! Il loro tofu, inoltre, e' davvero molto piu' cremoso degli altri e ha un sapore di soia piu' pronunciato del solito!

Tra le tante varieta' di tofu Otokomae, questa e' una di quelle che amo particolarmente. Guardate che meraviglia la confezione! Sono tre scodellini con sopra disegnati dei volti maschili in stile 漫画 manga:
Per il bento di oggi, ho usato il terzo scodellino:
Un saluto dal soleggiato Kanagawa!