giovedì, settembre 28, 2006

Dolciumi, snack...che passione!


Ciomp, ciomp, cric, croc, slurp, slapps...con quest'introduzione onomatopeica alla Palazzeschi, comincio brevemente ad accennarvi l'irresistibile mondo degli snack e dei dolciumi nipponici.

Qui a sinistra vedete raffigurata una foto di una coppetta di gelato al te' verde, della Haagen-Dasz, che ho comprato in un Family Mart della zona.

So di aver assaggiato il gelato al te' verde altre volte, ma avevano tutti un sapore delicato, leggero, etereo quasi.

Avevano, oserei dire, un sapore occidentalizzato, che non scioccasse troppo i nostri palati fini ed esigenti.

Qui in Giappone, invece, il gelato al te' verde arriva al dunque, senza troppi preamboli: e' verde come una pianta e sa di..indovina indovinello...di te' verde.

Ma si avvicina talmente tanto all'autentico sapore di quest'antica e rispettata bevanda, che se non fosse per la consistenza spessa e cremosa, per la temperatura decisamente al di sotto dello zero e per il fatto che lo si consuma con un cucchiaino, ci si potrebbe confondere col te' verde vero.

Qui il gelato Haagen-Dasz si trova in tanti gusti, tra cui quelli tradizionali come la fragola, il caffe', il macadamia, la nocciola, la vaniglia e quelli un po' particolari, come questo al te' verde o quello al sesamo nero, tanto per citarne due.

Di gelati c'e' un tale imbarazzo della scelta, che spesso quando vado in un negozio a comprarne uno, mi ritrovo ad uscire a mani vuote, proprio perche' a volte e' troppo difficile scegliere. La soluzione piu' semplice sarebbe comprarli tutti, ma e' ovvio che non e' un progetto tanto geniale.

I supermercati e i conbini (mini-market, aperti giorno e notte, dove si trova di tutto) abbondano di ogni sorta di caramelle, patatine, budini, bibite gassate, cioccolata e chi piu' ne ha, piu' ne metta.




Morinaga, per esempio, che e' una grande ditta giapponese, produttrice di latticini e dolciumi, mi puo' tranquillamente annoverare fra i suoi piu' fedeli clienti.

Di Morinaga compro lo yogurt, il creme-caramel pronto, caramelle tipo mou, cioccolata e quant'altro stuzzichi il mio palato.

Questa barrettona di cioccolato che vedete raffigurata nella foto a sinistra, l'ho comprata alcuni giorni fa da Maruetsu, grosso supermercato e centro commerciale.

L'ho presa per curiosita', non avendo, prima d'allora, mai assaggiato la cioccolata giapponese. E poi perche' , vista la somiglianza estetica della confezione con le barrette americane Hershey's, volevo vedere se anche Morinaga producesse un cioccolato ributtante e che richiama alla mente lo stomachevole odore del vomito, come purtroppo accade con Hershey's.

Mi scuso coi fan sfegatati della cioccolata Hershey's, ma onestamente, dopo aver vissuto anni negli USA, ancora oggi mi domando come si faccia ad esser golosi di quella roba li'. Un'enigma senza soluzione.

Invece, con mio grande stupore, ho scoperto che non solo la cioccolata Morinaga e' una vera ghiottoneria, ma per molti versi non ha nulla da invidiare agli svizzeri, alla Valrhona francese, alla belga Godiva, e nemmeno alla nostra magnifica Novi o Perugina.
Anche se forse qualcosa da invidiare pero' ce l'ha...al nostro sublime cioccolato Gianduja torinese.
Vabbe'...perdonate il mio eccessivo campanilismo.

Quella sera, da Maruetsu, credevo di esser tornata bambina: mi aggiravo per le corsie dei dolciumi, con entusiasmo e con gli occhi e bocca spalancati, come se stessi vedendo per la prima volta, un tale assortimento di meraviglie zuccherine.

Spinta dall'ingordigia e dalla curiosita', ho cominciato ad arraffare tutto cio' che attirava la mia attenzione, riponendo i dolciumi nel mio cestino, senza tanta cura.

Avendo, da sempre, una predilezione bambinesca per le caramelle al gusto di cola, mi e' stato impossibile resistere alla tentazione di assaggiare delle gomme da masticare a questo gusto, come anche un lunghissimo serpentello di gomma marroncina, una mini lattina di Cocacola piena di minuscole pasticche zuccherate e molto altro ancora.

Anche il reparto bibite non e' sfuggito al mio occhio scrutatore. Ma proprio come accade per i gelati, anche qui non sapevo cosa assaggiare per prima.
Incuriosita dalla simpatica etichetta, ho scelto questa:




Ho scoperto, il giorno dopo, che la suddetta bibitina si chiama "Kodomo no nomimono", ovvero bevanda per bambini.

La ditta produttrice in questione, la Sangaria (no, non hanno niente a che vedere con la deliziosa bevanda alcolica spagnola), oltre all'etichetta con la graziosa bimbina giapponese, ne fa un'altra con un bambino, nipponico pure lui.

Io, chiaramente, ho scelto quella con la bambina, come potete vedere.

La Kodomo no nomimono e' un tipo di bevanda creata apposta per i bambini, e che dovrebbe scimmiottare la birra vera.

Infatti il colore e la forma della bottiglia, come anche il colore stesso della bevanda, fanno pensare al millenario sposalizio tra malto di orzo e luppolo.

Il sapore, invece, pare sia quello del succo di mela. Dico pare perche' non l'ho ancora aperta per assaggiarla.

AGGIORNAMENTO: Ho poi assaggiato la suddetta bevanda e si', effettivamente sa molto di succo di mela gasato, ma ha una punta di amaro, ma leggerissima. Non male, anche se personalmente non mi dice granche'.



Nella foto a sinistra, vedete raffigurato un altro dei tanti snack giapponesi che sembrano andare per la maggiore.
Si chiama Baby Star Ramen e non sono altro che spaghettini ramen, tostati e sbriciolati, da mangiare cosi'...a manciate.

Sono gustosi, un po' piccantelli, ma gradevoli.
Si possono acquistare in buste piu' grandicelle come quella che vedete qui, oppure in una confezione da tante piccole bustine "tascabili".

Penso che comprero' le bustine formato mini la prossima volta. La confezione grande e' piu' conveniente, ovvio, ma dura un sacco di tempo e con l'umidita' che c'e' qui, i Baby Star fanno in tempo a trasformarsi in Baby Zuppa.

E' evidente che questo e' solo un breve assaggio dell'immensa varieta' di snack giapponesi, ed e' per questo che concludo qui il primo tempo.

Una piacevole sorpresa



Ieri sera, mio marito e' tornato a casa dal lavoro con un bellissimo pacchetto tra le mani: un pensiero gentile che il nostro padrone di casa ha voluto farci.

Un'incantevole scatola, elegantemente avvolta in un'altrettanto incantevole carta verde, abbellita da un fiocchetto giallo oro.

Dentro la scatola abbiamo trovato questo delicato assortimento di dolcetti giapponesi.

Non li abbiamo ancora assaggiati, ma contiamo di farlo al piu' presto! E non manchero' di fornire descrizioni dettagliate dei suddetti dolcettini.

La fotografia in alto raffigura la parte esterna di questa graziosissima scatola.

E' stato un gesto molto gentile e cortese, che ci ha fatti sentire davvero i benvenuti; ci ha fatti sentire veramente a casa.

martedì, settembre 26, 2006

L'appetito vien da Watami




Mio marito ed io amiamo molto cucinare. A me in particolare, deliziano gli esperimenti ai fornelli.

Ma al contempo ci piace moltissimo mangiare fuori e non disegniamo nulla. Ci divertiamo ad andare in ristoranti a noi nuovi e provare un po' di tutto.

Qui in Giappone c'e' il vero imbarazzo della scelta in quanto a ristoranti. Dovunque ci si giri c'e' un locale dove si prepara questa o quella specialita'.
Basta aver fame (e qualche quattrino in tasca, ma neanche poi molti) dopodiche' bisogna solo scegliere dove andare.

Ai giapponesi piace molto mangiar fuori, un po' perche' la mancanza di tempo non sempre permette di cucinare a casa propria, e poi perche' qui si puo' mangiar bene anche in locali economici.

Si vedono ristoranti e locali di ogni tipo.
Ci sono ristoranti giapponesi tipo Tonden, che offrono un ambiente moderno ma al contempo tradizionale (con tavoli e sedie da una parte e tavoli col tatami da un'altra), un menu' vario e molto ricco soprattutto di specialita' nipponiche.

Vi sono i family restaurant, locali confortevoli, moderni, dove vengono proposte specialita' sia occidentali che orientali, anche se pero' vengono enfatizzati i sapori preferiti qui in Asia.
I family restaurant non sono tra i piu' economici pero', anche se potrebbero dare quell'impressione.

Abbondano, inoltre, i ristoranti specializzati nella preparazione di ramen, udon, soba ed altri tipi di spaghettini.
Per non parlare dei ristoranti di yakitori o sushi e tonkatsu. Quest'ultimi sono degli squisiti filetti di maiale, delicatamente impanati e fritti...e' evidente che ho un debole per questa sublime delizia.

Esiste, inoltre, un numero immenso di ristoranti stranieri di cucina italiana, francese, brasiliana, statunitense (Notizia dell'ultim'ora: lo sapevate che esiste una cucina stelle e strisce? E che gli americani non si cibano solo di hamburger e patatine fritte?), spagnola, marocchina, russa, cilena, messicana (ehm, no, il tex-mex non e' la stessa cosa...smettiamola di confonderci!) e molto altro ancora!

Ma, i veri ristoranti del risparmio sono quelli che si trovano nelle stazioni dei treni.
Spesso si tratta di gabbiotti o chioschetti, perlopiu' specializzati nella preparazione di ramen o altri piatti giapponesi.
In questi posticini, quasi sempre affollati, si mangia egregiamente bene senza far il benche' minimo danno al proprio portafoglio.

I commensali ordinano alla svelta, mangiano in piedi, pagano il conto, soddisfatti e con la pancia piena se ne vanno.
In posti dove vige costantemente un frenetico viavai di persone, come accade appunto nelle stazioni, non c'e' tempo da perdere, nemmeno durante l'ora dei pasti e quindi e' piu' pratico evitare le sedie.

A me personalmente non piace mangiare in piedi, per giunta con la fretta addosso, ma e' meglio quello che starsene a digiuno, soprattutto se si deve correre di qua' e di la'.

Ecco che, in Giappone, spender poco non significa che i ristoranti appioppino ai clienti le porcherie piu' immonde.
Anzi, spesso e' proprio nei chioschetti umili e modesti dove si puo' assaggiare la cucina giapponese piu' fresca e genuina, perche' sono quasi tutte attivita' a gestione famigliare.

E' piu' facile capitare in un posto dove si mangia in modo eccellente e si spende una cifra irrisoria, che non il contrario.
Lo stesso non si puo' dire dell'Italia, purtroppo, dove se non si sta piu' che attenti, ci vuole poco a cadere nella grinfie delle trattorie.

La trattoria, che nell'immaginario collettivo gode ancora di quella reputazione di locale rustico, dove le porzioni sono abbondanti e il conto e' striminzito, e' in realta' ben lontana da questa concezione che sicuramente corrisponde ad una realta' passata.

Quasi indubbiamente esistono ancora in Italia trattorie di questo tipo, ma per la maggior parte si tratta solo di ristoranti dai prezzi assolutamente impraticabili, che con la scusa dell'aspetto umile e semplice, attirano ignari clienti (vogliamo parlare dei turisti?) spinti da una fame cieca e da un portafoglio smunto.

Nel suo libro "Quando siamo a tavola", l'enogastronomo e buongustaio Cesare Marchi, in seguito ad un'intervista ad un gruppo di ragazzini italiani in un fastfood, a cui e' stato chiesto il perche' delle loro scelte alimentari, si e' visto rispondere con un'assoluta franchezza quasi disarmante che, se solo la cucina italiana avesse prezzi piu' accessibili, non ci penserebbero due volte ad abbandonare l'hamburger per dirigersi, compiaciuti, verso un piatto di pastasciutta fumante.

Questa e' la realta'. Che la si voglia guardare in faccia o no.
Allora smettiamola di additare gli americani e di addossare su di loro tutti i nostri errori alimentari.

Sebbene MacDonald's (il Makudo Narudo dei giapponesi) e gli altri non offrano prezzi stracciatissimi, non c'e' dubbio che e' piu' facile potersi permettere un BigMac che non un piatto di gnocchi alla bava o di vitel tonne', alla trattoria di zona.

Un Makudo Narudo (Mac Donald's) davanti a cui passiamo spesso.

Anziche' lagnarci, non sarebbe meglio dare una ridimensionata ai prezzi dei nostri ristoranti?

E' meglio lasciare che le trattorie continuino, indisturbate, a derubare la gente, per poi ritrovarsi immancabilmente senza clientela, costretti a passare la gestione a rumeni o cinesi, i quali trasformeranno il locale in un'ennesima ed anonima pizzeria, oppure cercare di intervenire sui prezzi, salvaguardando al tempo stesso la nostra tradizione culinaria?

Bisogna, quindi, giungere alla conclusione che il VERO concetto di trattoria e' stato pienamente afferrato dai giapponesi.
Sono consapevole del fatto che tale affermazione fara', quasi sicuramente, inorridire ed accigliare i lettori piu' sarcastici, a cui consiglio di venire a farsi un viaggetto qui, prima di contraddirmi.

Ma arriviamo al dunque (ignoro l'arte dell'essere telegrafici, lo so):

Tra i tanti posti dove siamo stati fino adesso qui in Giappone, ce n'e' uno in particolare che ci ha colpiti in modo positivo: Watami

Watami e' una catena giapponese di ristoranti, con locali presenti un po' su tutto il territorio asiatico e soprattutto qui.

Questi ristoranti si distinguono da tutti gli altri, a mio avviso, per due motivi molto semplici:
mirano ad offrire un ambiente casual, accogliente, rilassante ed un menu' vario, invitante, stuzzicante ma a prezzi alla portata di chiunque.

Una delle lamentele piu' frequenti da parte degli stranieri che visitano il Giappone, e' che le porzioni nei ristoranti sono troppo ridotte.

Quantunque sia lodevole la moderazione che i giapponesi dimostrano a tavola, un cambiamento repentino delle nostre abitudini alimentari puo' non giovarci.

E quindi, perche' dover approfittare del nostro soggiorno qui in Giappone per improvvisarsi parchi all'ora dei pasti?

Con questo non voglio incoraggiarvi alla pinguedine o dar via libera a smodati gozzovigli, ma vi invito ad assaggiare tutto cio' che di squisito ha da offrirvi quest'antica e nobile terra.

Un'altra caratterstica di Watami e' che i loro menu' variano periodicamente, come conseguenza del rispetto della stagionalita' della frutta e verdura.
Questo e' un modo economico e naturale che permette alla gestione di variare il menu', affinche' i clienti possano trovare piatti sempre diversi.

La cucina giapponese, come quella cinese, si sa, fa un uso quasi esclusivo di frutta e verdura di stagione.
La freschezza degli alimenti ha precedenza su tutto il resto.

Non viene preferita la comodita' delle tecnologie moderne all'incomparabile squisitezza che si puo' ottenere solo da materie prime di assoluta freschezza.

In posti come Watami, non troverete quindi l'anguria a dicembre, le melanzane a febbraio o gli asparagi a settembre.
Ogni stagione ha i suoi frutti e i suoi sapori da offrire.

La particolarita' di Watami e' che pare abbiano assimilato la filosofia culinaria coreana, secondo la quale tanti piccoli piatti di delizie diverse sono da preferire ad un piatto grosso, di un'unica cosa.

Anche in cinesi, in questo senso, sono sempre stati dei pionieri.

Allora ecco che da Watami non troverete quasi nulla, sul menu', che costi piu' di 500-600 yen.
La maggior parte dei piatti si aggirano sui 200-300 yen.

I prezzi contenuti danno la possibilita' di ordinare piu' cose e di assaggiare un ampio ventaglio di specialita', senza doversi per forza soffermare su un piatto solo.

La settimana scorsa siamo stati in un Watami vicino a casa nostra. Abbiamo ordinato delle squisitezze, tra cui del polipo fritto, degli spaghettini saltati in padella con verdure miste, dei tocchetti di pollo con peperoni, polpettine di riso e verdure e gli spettacolari nigiri al salmone grigliato (v. foto in alto a sinistra)!

Quei gloriosi nigiri sono costati 280 yen, una vera fesseria!

Consiglio, quindi, a voi esploratori del Sol Levante, di cercarvi uno di questi ristoranti e di cominciare, fin d'ora, a leccarvi i baffi!

lunedì, settembre 25, 2006

Il Grande Buddha di Kamakura


Ieri non ho poi avuto molta voglia di aggiornare il blog, e cosi' lo faccio oggi.

Non posso non raccontare la nostra visita allo splendido Buddha di Kamakura. E' stata un'esperienza favolosa!

Pero', prima di iniziare, mi sono ricordata che ho tralasciato un particolare riguardante la visita al tempio della Dea Kannon...me ne sono dimenticata e vorrei raccontarvelo ora:

All'interno del giardino Zen, c'era un cimitero buddista.
Di cimiteri buddisti se ne vedono molti in citta'....anche perche' non sono isolati e confinati all'interno di uno spazio riservato, ma spuntano cosi'...tra le case!

E spesso questi cimiteri non sono nemmeno tanto grandi....sono piccolissimi, con al massimo un 50-60 loculi al loro interno, pero' immaginate un quartiere affollato da case e improvvisamente, in mezzo ad esse si profila un bel cimiterino!

Io poi, che sono una grandissima fifona, non credo riuscirei a star tranquilla se dovessi abitare in una casa a pochissimi metri di distanza da un camposanto!
E' vero che bisogna avere piu' paura dei vivi che dei morti, pero' caspiterina blu...non andiamoci a cercar rogne!

Eppure sabato, dopo esser arrivati all'entrata di questo cimitero, ho voluto a tutti i costi entrare, spinta da una (macabra) curiosita'.
E vi diro'..non e' stato poi cosi' traumatico. Non ero mai stata in un cimitero del genere.

I loculi erano tutti o di marmo scuro o di pietra. Alcuni erano stati scolpiti e avevano preso la forma di alcune divinita'.
Ovunque spuntavano sottili stele funerarie con su incise iscrizioni in Kanji.

Certo, mi ha fatto una certa impressione passeggiare tra questi antichissimi loculi, pero' ho provato anche un forte senso di pace.

Una cosa che ho notato e' che sulle lapidi non ci sono le foto dei morti.

E' vero che alcune di queste lapidi erano molto antiche, ma ce n'erano delle altre che sembravano piu' recenti eppure nemmeno queste avevano una foto del defunto.
Probabilmente nella tradizione buddista l'usanza della foto e' sconosciuta.

Mio marito, che stranamente e' sempre il piu' temerario dei due, era un po' restio e non ha voluto addentrarsi piu' di tanto nel cimitero, cosi' mi ha aspettata e io sono andata a vedere alcune statue funerarie piu' da vicino.

Le lapidi giapponesi sono molto diverse dalle nostre. Anche nella loro arte funeraria si riconoscono elementi di arte orientale, non solo per quanto riguarda le iscrizioni e le immagini, ma soprattutto per quanto riguarda il taglio del marmo o della pietra.
Alcune assomigliano a piccole pagode, dai tetti spioventi e dagli angoli appuntiti.

Non ho voluto fotografare l'interno del camposanto per una questione di rispetto, ma se trovero' delle immagini di un qualche cimitero giapponese, magari le mettero' qui cosi' avrete un'idea di come sono fatti.

Usciti da li', abbiamo visto che poco piu' in la' c'era un Torii 鳥居 , ovvero un cancello sacro giapponese che indica l'ingresso ad un santuario shintoista.

Nell'immaginario collettivo, il Torii viene spesso associato al Giappone mistico e religioso.

Ogni qualvolta s'intravede un Torii, vuol dire che al di la' di esso ha inizio un territorio sacro.
Siccome gia' eravamo in terra consacrata buddista, suppongo che lo scopo del Torii fosse quello di avvertire che si stava per entrare in territorio sacro e shintoista.

Questa e' una fotografia di un Torii.
La foto non e' mia. L'ho trovata su questo sito.




Il Torii di cui sto parlando pero' era molto piu' piccolo.

L'abbiamo attraversato mantenendo sempre un comportamento molto riverente. Siamo cosi' giunti all'interno di una grotta molto scura e a malapena illuminata da qualche candela.

L'aria era immobile e calda. Si sentiva l'odore del tempo che passa inesorabilmente, l'odore dell'incenso e di tutto cio' che e' antico.

Nelle pareti nere della grotta c'erano grosse statue di divinita', ognuna di esse scolpita nella pietra e protetta da una propria nicchia, anch'essa di pietra.

Davanti a noi c'era un gruppo di anziani signori giapponesi venuti in pellegrinaggio. A un certo punto si sono diretti, sempre all'interno della grotta, verso un ingresso ad un'altra grotta...pero' piu' angusta della precedente.

Quest'altra grotta era talmente scura che le persone davanti a noi sparivano, inghiottite dal buio, non appena vi mettevano piede.

Il cunicolo era talmente basso, che per accedervi si e' costretti a chinarsi di 90 gradi, a meno che non si voglia prendere una bella testata e nasata assieme.

Ero un po' titubante. Volevo entrare ma questo posto buio e stretto mi metteva un po' d'angoscia. Pero' abbiamo deciso di continuare il nostro cammino e di esplorare il cunicolo.

Grazie al cielo, dopo pochi metri, abbiamo potuto stiracchiarci un po' la schiena, ma non tantissimo.

Siamo arrivati al centro di questa grotta. Era un po' illuminata da candele sparse qua' e la'. Dal centro si diramavano altri sentieri sconosciuti. Ne abbiamo seguito uno che ci ha portati in un anfratto stranamente illuminato, quasi a giorno, dalla quantita' impressionante di candele.

Sempre in questo anfratto ci saranno state centinaia di minuscole statuine di legno chiaro, di divinita'. Un cartello invitava i fedeli a fare una piccola offerta, e in cambio a prendere una statuina da dedicare a chi si voleva e da posizionare in un qualunque punto della nicchia.

La superficie della nicchia era quasi interamente ricoperta da queste piccole statuine di legno chiaro, il cui colore indubbiamente contribuiva all'effetto luminoso che permeava in questo strano posto.

Siamo usciti da li' e abbiamo proseguito il nostro cammino (sempre da chinati a 90 gradi), verso un altro corridoio lungo, buio e stretto che pero' finalmente ci ha condotti verso l'uscita!

Sembrava di essere appena sbucati da un altro mondo, da un altro tempo e da un'altra dimensione. Sembrava di esser ritornati indietro nel tempo, in un tempo antico e dimenticato.

Dopo la visita a questo santuario shintoista, siamo usciti dal giardino Zen e abbiamo imboccato la strada che conduce a Kamakura.

Mentre camminavano, siamo passati davanti a tanti ristorantini di ramen e udon, con esposte in vetrina ogni sorta di squisitezza!
Avevamo fame, ma non volevamo fermarci a mangiare. Prima volevamo andare a vedere il Grande Buddha.

Ma per acquietare un po' il nostro stomaco, abbiamo deciso di fermarci in un negozietto dove un signore stava preparando dei Senbei.

I Senbei sono delle grosse cialde croccanti fatte di riso.

Abbiamo visto che il signore del negozio le grigliava su una fiamma, dopodiche' le intingeva in un grosso vaso di salsa di soia, e prima di servirle, le avvolgeva in un foglio di nori.

Ne abbiamo preso uno e ce lo siamo sgranocchiati per strada, mentre ci dirigevamo verso il Grande Buddha.

Ecco, questa e' la foto che si e' fatto mio marito mentre regge il Senbei fumante e pronto per esser divorato:





Il Senbei, come dicevo poco fa, e' molto croccante. So che ne esistono di vari tipi. Questo che abbiamo mangiato noi era abbastanza salato, essendo stato intinto in salsa purissima di soia.

Infatti penso sia impossibile mangiarsi un Senbei intero senza bere un goccio d'acqua! Pero' era davvero sfizioso e gustosissimo! Un ottimo snack da passeggio!

Tra sgranocchiamenti vari di Senbei, siamo finalmente giunti all'ingresso delle mura sacre di Kamakura.

C'e' un negozietto che vende souvenir vari, dei distributori automatici di bibite e snack (sulle macchinette giapponesi scrivero' un capitoletto a parte) e poi gli sportelli dove comprare il biglietto d'ingresso.

Abbiamo pagato 200 yen a testa e in cambio ci e' stato dato il biglietto e un altro bigliettino con una breve storia del Buddha.

All'entrata abbiamo visto un grosso cartello con su scritto un avvertimento del Priore del tempio, che intimava ai visitatori di ricordarsi che si stava per accedere ad una terra antica e sacra.

Ricordava inoltre che, a prescindere dalle proprie convinzioni religiose e credo, un atteggiamento di totale riverenza e' richiesto da chiunque.

Ovviamente vi sono sempre i soliti idioti che scambiano il tempio con il luna park e si comportano da selvaggi, con schiamazzi, risate inopportune e quant'altro.

Subito dopo essere entrati, abbiamo visto una grossa vasca di pietra, tipo un lavatoio, colma d'acqua. All'interno vi galleggiavano dei mestoli di rame che andavano riempiti d'acqua, coi quali bisognava lavarsi le mani o, se si voleva, rinfrescarsi la faccia.

Suppongo sia un rituale che simboleggia la purificazione necessaria prima di presentarsi al cospetto del Grande Buddha.

Ho lavato le mani a mio marito e lui le ha lavate a me, e insieme ci siamo incamminati in questo sentiero di ghiaia, ma tutto circondato da altissimi alberi verdi.

Poco dopo, abbiamo visto aprirsi davanti a noi uno spazio immenso in mezzo al quale regna il Grande Buddha di Kamakura!

Ecco una delle nostre foto:





Con uno sguardo strabiliato e sbalordito, ci siamo avvicinati sempre di piu'. Io ero al settimo cielo!
Abbiamo fotografato il Grande Buddha da diverse angolazioni. Veramente il fotografo di casa e' mio marito, che e' molto piu' bravo della sottoscritta nell'arte dell'immortalare immagini.
















Il Buddha di Kamakura (in giapponese noto col nome di Daibutsu 大仏 ) e' il secondo piu' grande del Giappone. Il piu' grande in assoluto si trova a Nara.

Daibutsu e' alto ben 13,35 m e pesa 93 tonnellate. Un tempo si trovava all'interno di un tempio che fu pero' spazzato via da un violentissimo tsunami avvenuto nel 1498.
Il Buddha pero' e' rimasto pressoche' intatto.

Trovarsi al Suo cospetto e' stata un'esperienza che vorremo ripetere senza dubbio. Nonostante la folla, abbiamo provato un profondo senso di serenita' e pace. Il Suo volto cosi' pacifico e rimasto cosi' immutato nel corso dei secoli, non puo' non trasmettere che tali sentimenti.

E' come se tutto cio' che vi e' attorno non importasse. E' come se sul suo volto ci fosse scritto il possibile destino del mondo. se solo c'impegnassimo a dedicare piu' tempo alla meditazione e all'applicazione dei sacri principi insegnatici dal Buddha, tutti un giorno potremmo godere di tale pace perenne ed eterna.

Il Daibutsu e' vuoto al suo interno, e quindi lo si puo' visitare. Per soli 20 yen (circa 15 centesimi) vi si puo' accedere al suo interno.
La scaletta che conduce dentro il Buddha e' strettissima, ripida e buia. Immaginate che affare dover scendere e poi salire, in mezzo a quella fitta folla di gente. Il posto ideale per i claustrofobici.

Ma arrivati in cima alla scala, ci si trova in una grossa stanza (che e' poi l'interno del corpo del Buddha), abbastanza buia. Guardando su si vedono il naso, la bocca e gli occhi che sporgono, ovviamente, verso l'esterno.
Proprio come lo e' fuori, anche all'interno le pareti del Buddha sono verdine.

Siamo finalmente riusciti a scendere quella scala ripida ed impervia, per sbucare di nuovo sul piazzale principale.

Ai lati del piazzale c'e' un porticato dove si trova un negozio di souvenir vari e libri. Vicino ad esso un cartello con una breve storia del Daibutsu e due grossi sandali di paglia intrecciata, appesi alla parete.


Poco dopo ci siamo avviati di nuovo verso la grossa vasca di pietra coi mestoli di rame, cioe' verso l'uscita, ma prima abbiamo salutato il Daibutsu. Sicuramente ritorneremo in questo splendido angolo mistico di Giappone.

sabato, settembre 23, 2006

Visita al tempio della Dea Kannon


Oggi siamo usciti, alla scoperta del grande e famosissimo Buddha di Kamakura.
Ma prima siamo stati a visitare il tempio della Dea della misericordia, Kannon.

Non sono buddista, ma circa due anni fa, in seguito ad alcuni fatti avvenuti nella nostra vita, ho cominciato a provare una forte devozione nei confronti di questa divinita', a me piu' nota col suo nome cinese di Kuan Yin (o Guan Yin).
Kannon e' il suo nome in giapponese.

Quindi era importante che ci fermassimo a far visita al suo tempio, raffigurato nella foto a sinistra che abbiamo scattato oggi.

Ero molto emozionata e non vedevo l'ora di entrare in questo territorio sacro e di respirare un'aria di pace e meditazione.


Tra le altre foto che abbiamo scattato oggi, quella che vedete qui raffigura la stradina che conduce al tempio della Dea Kannon.


Oggi c'era molta gente a far visita ai templi della zona.
Non ne sono sicura ma, penso che oggi fosse una qualche festa religiosa.

Vicino a casa nostra, proprio a pochissimi metri da noi, c'e' un grosso tempio buddista dove oggi, appunto, c'era un gran viavai di persone che portavano mazzi di fiori profumatissimi!

L'aria qui intorno a casa nostra e' rimasta talmente impregnata di questo floreale effluvio, che l'abbiamo sentito persino al ritorno dalla nostra gita, in serata!

E pensate... stamattina mi sono svegliata con in sottofondo i canti buddisti che entravano dalla mia finestra!

Tornando alla nostra gita di oggi, abbiamo percorso la stradina che vedete nella foto.
Questa strada e' vicinissima alla stazione del treno di Hase, il nome di questa localita'.

In quest'altra foto si vede una parte dell'entrata principale del giardino Zen che conduce poi al tempio.

L'ingresso costa ¥200 a testa per gli adulti, e ¥100 per i bambini.
Credo che si paghi solo durante l'orario di visita e non nelle ore di preghiera.

Avevo una fortissima emicrania che mi e' durata quasi tutto il giorno, ma nonostante cio' ero felicissima di essere qui e non sarei ritornata a casa per nulla al mondo!
In piu' la giornata era favolosa! Non faceva quel caldo solito soffocante; c'erano persino un sole brillante ed un cielo limpido come non mai!

Subito dopo l'entrata ci siamo ritrovati immersi in un meraviglioso giardino Zen.
C'erano laghetti abitati da coloratissimi pesciolini e fiori di loto, pagode di pietra, ponticelli di legno, alberi e piante di ogni genere.



Da li' siamo saliti su per una scala di pietra che ci ha condotti ad un tempietto minore, circondato da una marea di piccolissime statue di divinita', una accanto all'altra.

Queste statuine rappresentano i Ksitigarbha Bodhisattva (in giapponese Jizo), divinita' buddista, che protegge i viandanti, i morti e tutti coloro destinati all'inferno.

Qui a destra si vede una parte di questo immenso "esercito" di Jizo.
Ve ne sono tantissime, non saprei nemmeno quante, neppure ad occhio e croce.
Fanno il giro del tempietto e si arrampicano fino sui pendii di una collinetta retrostante.

Ed ecco altri Jizo.
Come vedete, alcuni sono adornati da una specie di berrettino e bavaglino rossi, mentre altri hanno al collo un nastro.

Il berrettino e i bavaglini vengono fatti a mano da chi ha ricevuto la grazia, in segno di riconoscenza.
Il nastro, invece, indica una richiesta fatta ma non ancora esaudita.
Alla fine di ogni anno, il monaco incaricato, taglia con un coltello tutti i nastri non ancora slegati.

Abbiamo proseguito la strada che da li' conduce al piazzale principale, su cui si affaccia il Grande Tempio della Dea Kannon.

Vi sono due edifici principali: il primo e' il tempio dedicato alla Dea, e il secondo un tempietto non tanto grande che ospita una statua dorata di un Buddha (v. foto sotto).

Davanti all'uscita di questo edificio c'e' un grosso vaso di metallo dentro cui si fa bruciare l'incenso sacro.
Li' sono in vendita dei bastoncini d'incenso benedetto, a 50 yen l'uno.

Ho voluto comprarne e bruciarne uno ed avvolgermi in quell'aromatico e mistico fumo...un fumo che purifica l'anima e la mente, a predispone i fedeli ad una maggior comprensione del mondo spirituale.


In questa foto si vede il tempio piu' piccolo con di fronte il bruciaincenso sacro.

L'edificio principale e' quello raffigurato nella prima foto in alto, ovvero il tempo di Hase-Dera che ospita al suo interno, l'imponente statua della Dea Kannon o Kuan Yin.

La statua della Dea non si puo' fotografare, ma ho la Sua immagine scolpita nel cuore e nella mente.
Siamo entrati nel tempio e abbiamo percorso un corridoio largo e un po' scuro, al fondo del quale, in un'enorme nicchia nel muro, regna sovrana la Dea.

La statua di Kannon e' alta 9,18m ed e' interamente fatta di legno di canfora ed e' tutta ricoperta d'oro puro.
Ha undici teste, inclusa la piu' grande. Tutte queste teste simboleggiano le innumerevoli virtu' e caratteristiche di questa grande divinita'.

Di fronte a Lei ci siamo sentiti molto piccoli, ma non per questo insignificanti.
Sono entrata con nel cuore un forte senso di riverenza nei Suoi confronti...in territorio sacro non si puo' non provar profondo rispetto e deferenza.

Sarei rimasta li' in meditazione per delle ore, a respirare profondamente il mistico odore del fumo d'incenso benedetto.

Usciti dal tempio, ci siamo diretti verso un altro edificio adiacente che ospita una statua del dio giapponese della ricchezza.
Abbiamo notato che gli altri, non appena si trovavano di fronte alla statua, cominciavano a strofinargli con le mani la pancia, il capo e le spalle, un po' come si suol fare con il Buddha perche' ci porti fortuna.

E quindi, anche noi abbiamo emulato i giapponesi e abbiamo dato una sfregatina decisa al bel pancione florido della divinita'.

Nelle immediate vicinanze c'e' un piccolissimo boschetto di bambu' e un ristorante specializzato in cucina di tradizione buddista, ovvero vegetariana.

Il piazzale si affaccia sul mare, quindi vi lascio immaginare la bellezza del panorama che abbiamo cercato di immortalare in qualche fotografia.

Ed ecco alcune splendite vedute.


Sembrano dei veri paesaggi da cartolina!








Sempre all'interno del piazzale, c'erano diverse altre statue sacre.
Ne abbiamo fotografate alcune:















Siamo ritornati giu', dove quel giardino Zen ci ha inizialmente accolti e ci siamo diretti verso l'uscita:


Da li' abbiamo proseguito, a piedi, fino a Kamakura. Non e' distante. Si arriva passando per una strada piena di negozietti di souvenir, alimentari, botteghe di maestri calligrafi e piccoli ristoranti di udon e ramen.


Ma della nostra visita al maestoso Buddha di Kamakura vi parlero' domani.

giovedì, settembre 21, 2006

Irritazione da problemi tecnici



Ho appena finito di scrivere un mezzo papiro sul Giappone tecnologico, quando il tutto e' andato perso non appena ho deciso di pubblicarlo.

Sono riuscita a salvarne un pezzetto, ma manca una bella parte consistente.

Non avendo granche' voglia di rimettermi a scriverlo, per ora ho salvato quel pezzetto come bozza e magari lo riprendero' piu' in la'.

GGRRRRR....mi ci vogliono delle belle faccine espressive. Adesso ne avrei bisogno di una tutta incavolata, col fumo che esce dal naso e dalle orecchie!

mercoledì, settembre 20, 2006

Vasellame - atto secondo


Qui a sinistra e' raffigurata una delle quattro magnifiche scodelle giapponesi che ho acquistato di recente (v. "Una domenica afosa ma divertente".

Mi hanno colpita per la loro aggraziata eleganza.
Pezzi come questi non hanno bisogno di fronzoli.

L'esterno e' tutto dipinto di un bel blu cobalto.
Sono a dir poco ..meravigliose!

Questa settimana vorrei andar a caccia di altri pezzi del genere.
Gia' da qualche tempo sto pensando di comprare un bel servizio di piatti. Ma niente di troppo formale. Vorrei qualcosa da usare tutti i giorni, possibilmente.

I servizi molto elaborati mi piacciono, ma mi mettono un po' in soggezione. Anche perche' non diamo chissa' che ricevimenti, quindi non e' il caso di andare a spendere ¥10-20mila per un piattino da formaggio, un piatto fondo e uno piano.

Mi accontento di pezzi piu' alla buona. Al contempo non rinuncio pero' ad un briciolo di eleganza e raffinatezza.

Qui in Giappone, da quel che ho notato, non e' difficile trovare quest'equilibrio. La sobria eleganza e' virtu' insita nell'animo nipponico.

A volte si vedono pezzi di porcellana bianchi o bianco panna, caratterizzati da un motivo molto semplice che puo' essere un fiorellino oppure una solitaria fogliolina verde smeraldo...eppure basta cosi'.

L'eccesso decorativo, penso, infastidisca i giapponesi, grandi fautori di una certa forma di minimalismo artistico.

martedì, settembre 19, 2006

Vasellame, Kaiseki e Doraemon!





Come ho gia' detto in precedenza, ho una grande passione per le porcellane e per tutto il vasellame in genere. L'importante e' che sia di qualita' e ben fatto.

Le due graziose coppette per il te' , raffigurate nella foto a sinistra, sono di mia proprieta' e le ho acquistate qui in Giappone, in un negozio di articoli per la casa.

Il Giappone e' un vero paradiso per le persone come me.

I giapponesi hanno uno spiccatissimo senso dell'estetica: credo che l'abbinamento di un cibo con un certo piatto piuttosto che un altro non avvenga cosi' per caso.

Sul libro di Renata Pisu, "Alle radici del sole", l'autrice dedica un capitoletto proprio a questo affascinante aspetto dei giapponesi.

Racconta che mentre viveva a Tokyo, le venne insegnato che mai e poi mai bisogna usare un piatto bianco per servire del tempura, una frittura giapponese leggerissima che puo' ricoprire, per esempio, verdura o pesce.

I piatti bianchi, quindi, non sono indicati per servire fritture, in quanto il pallore della porcellana sbiadirebbe il color oro dorato di questa delicatissima impanatura.

Meglio usare un piatto nero o marrone. Infatti, facendo caso a questo particolare nei ristoranti, ogni volta che abbiamo ordinato del tempura, questo ci e' sempre stato servito su bellissimi piatti neri non lucidi. Mai su un piatto bianco.

Queste sono sofisticate sottigliezze a cui molti di noi nemmeno pensano, eppure questi sono i particolari che rendono la cucina giapponese, e soprattutto il modo in cui viene presentata, una delle piu' incantevoli dal punto di vista estetico.

In questo senso poi, penso che la maestria del Kaiseki Ryori raggiunga livelli altissimi.

Kaiseki e' un tipo di cucina giapponese estremamente particolare e raffinata.

Inizialmente nacque come cucina utilizzata durante la cerimonia del te', il cui scopo era quello di servire un pasto molto leggero ma anche molto ben presentato esteticamente, per poter deliziare non solo il palato ma anche gli occhi dei commensali.

Al giorno d'oggi si puo' assaporare la cucina Kaiseki in ristoranti specializzati in quest'arte. Ancora non abbiamo avuto l'immenso piacere di assaggiare quest'antica forma gastronomica, ma sono sicura che lo faremo al piu' presto.

Kaiseki non e' un modo per rimpinzarsi, ma per ammirare la maestria di chi prepara il piatto, perche' sa sistemare e presentare i cibi con grande eleganza e sofisticatezza.

In un piatto Kaiseki nulla viene messo a casaccio. La posizione di ogni singolo elemento viene attentamente studiata, affinche' il risultato finale sia un magnifico intreccio armonico di colori, forme e sapori. Una vera arte.

Un esempio di cucina Kaiseki (foto di proprieta' del sito web-japan.org) :



Il giorno che avremo l'onore di assaggiare questa cucina, penso mi ci vorra' un po' prima di decidermi a prendere le bacchette e cominciare a gustare queste piccole meraviglie.
Sembrera' quasi di fare un torto a chi ha messo cosi' tanta pazienza ed amore nel creare un piatto di questo genere.

Ma sarebbe comunque un gran peccato non assaggiare: in fondo Kaiseki non e' solo raffinatezza estetica ma anche un insieme di ineguagliabili sapori.

E' impossibile resistere al fascino giapponese dei colori e dei motivi sapientemente dipinti su tazze, piatti, caraffe e altro ancora.

Ieri sera, ad esempio, mentre curiosavamo in un negozietto di cose vecchie e antiche, ho trovato uno stupendo vassoio rotondo nero laccato, con un motivetto dipinto a mano, raffigurante delle foglie di felce, se non erro.

Il nero ebano del vassoio contrasta in modo molto armonioso con i colori caldi utilizzati: il giallo senape dorato del bordo, le foglie alcune di color vermiglio e altre leggermente dorate.
Ecco, ho fatto una foto a questo graziosissimo oggetto
:















Dietro c'e' addirittura la firma in kanji, sempre dipinta a mano con lo stesso color oro delle foglie, dell'artista che ha creato questo vassoio.

Il vassoio mi ha subito colpita per il modo molto raffinato ed armonioso con cui sono stati accostati i colori. L'immagine dipinta ha un nonsoche' di autunnale, ma senza quella nota malinconica che solitamente caratterizza questa stagione dell'anno.

Sempre nello stesso negozio ho trovato un oggettino carino a cui la bambinetta che c'e' in me non ha saputo resistere: un portachiavi di Doraemon, il gatto-robot, mentre medita seduto su una nuvola!
Qui in Giappone un oggetto di questo genere non piacerebbe solo ai bambini ma anche ai piu' grandi.



Anch'io sono vittima degli oggettini かわいい , ovvero kawaii, un aggettivo giapponese che significa "carino".

I giapponesi amano molto adornare se' stessi, le proprie case e automobili con oggetti simpatici, che spesso si rifanno a personaggi dei cartoni animati.

Non tutti sono contagiati da questa mania, speciamente le persone di una certa eta' sembrano non essere troppo interessate a questo genere di articoli, ma le generazioni piu' giovani, ancora fino sui 30 e 40 anni (e in certi casi anche oltre), non resistono al fascino sbarazzino di Hello Kitty, Doraemon, Sailor Moon, Chococat e tanti, tantissimi altri personaggi coloratissimi della fantasia.

lunedì, settembre 18, 2006

Pensieri & Pioggia

Una pioggia incessante fa da cornice anche alla giornata di oggi.

Dalle grandi finestre di casa nostra vedo gli alberi e le piante ondeggiare al ritmo del vento.
Le foglie si colorano di un verde sempre piu' intenso.

Chissa' se anche qui in Giappone l'autunno dipinge i paesaggi di sfumature un po' malinconiche come le varie tonalita' di marrone, oppure dei giallognoli spenti ed ammaccati?

Attendo sempre con grande ansia l'arrivo dei temporali. Mi piace l'odore dell'arietta effervescente e pungente che precede l'acquazzone.

Quando sento le prime goccioline d'acqua scendere giu' dal cielo grigio e minaccioso, mi riempio di gioia e mi pregusto qualche ora di assoluto relax, con in sottofondo solo la sinfonia dell'imminente piovasco.

Poi pero', la parte contradditoria che c'e' in me, comincia ad aver paura dei lampi e dei tuoni.
Chiudo gli occhi per non vedere quella luce spaventosa. Con le mani mi tappo le orecchie per non sentire i cupi rimbombi dei tuoni.
Proprio come quando ci sono i fuochi d'artificio: la paura e' la stessa.

Oggi pero' non ci sono ne' lampi ne' tuoni. C'e' solo un'insistente pioggia che viene giu' imperterrita da ieri, e che cambia di tanto in tanto il suo ritmo.
A volte e' finissima, altre volte e' violenta.

Mi sento un po' malinconica, un po' come i colori della tavolozza autunnale.
Mi sta prendendo un po' di quel senso di scoraggiamento che prende quando ci si trova in terra straniera.
Uno scoraggiamento dovuto non tanto alla nostalgia di casa (quella subentra piu' in la'), quanto alla sensazione frustrante di non riuscire a comunicare nella lingua del posto.

Penso di conoscere abbastanza bene questa sensazione, perche' l'ho gia' vissuta una volta.

Le spiccate abilita' mimiche e il gesticolare per cui noi italiani siamo famosi al mondo, non mi sono d'aiuto. Non credo lo siano mai stati a dire il vero.

Anch'io gesticolo un po', ma solo quando parlo. Non riesco sempre a servirmi della mimica per spiegarmi, a chi non capisce, cosa sto dicendo. Mah, saro' l'eccezione che conferma la regola.

L'inglese lento e ben scandito, assieme a qualche parolina di giapponese, e' l'unico strumento del quale ci stiamo servendo per comunicare con la gente del posto.

Le prime settimane rifiutavo categoricamente di perdermi d'animo per questa incapacita' di comunicare, ma adesso lo scoraggiamento si sta facendo sentire forte e chiaro.

Quando siamo fuori, osservo costantemente tutte le scritte che mi circondano: insegne di negozi, cartelloni pubblicitari, menu' dei ristoranti, ecc.
Con una testardaggine che a volte m'innervosisce, tento di leggere i kanji.

Ma dalla mia testa escono fuori parole cinesi corrispondenti ai kanji a me noti. Allora si crea un'insalata di cinese e di hiragana giapponese.
Con interesse (e stizza) noto quanto sia stato semplice e piacevole apprendere l'hiragana, mentre invece con il katakana, non si sa bene perche', faccio una fatica colossale a memorizzarlo.

Probabilmente esistera' una legge di Murphy anche su questo.

Quando ci si rende veramente conto di essere handicappati, perche' quando non si riesce a comunicare ci si sente tali, ecco che la lingua si trasforma in una montagna alta ed imponente, quattro volte il Monte Fuji.

L'apprendimento del giapponese diventa una scalata che sembra impossibile ed inavvicinabile.

Al corso d'introduzione alla cultura giapponese, Naoko, la nostra insegnante, ci disse che saremmo passati attraverso quattro fasi:

- quella honeymoon, cioe' luna di miele. Questa e' la fase che coglie tutti i nuovi arrivati. Si manifesta sotto forma di entusiasmo continuo. Si ha costantemente voglia di far foto e di immortalare ora questo e ora quello.
Uno potesse, se ne starebbe sempre in giro a guardare la citta' con uno sguardo mezzo inebetito.
Tutto incuriosisce e attira la nostra attenzione.

- la seconda fase e' quella dello scoraggiamento. In questa ci si sente dei mezzi disperati che non capiscono un'acca della lingua e hanno voglia di rimanere chiusi in casa. Subentra un totale rifiuto della lingua del posto.

- Si verifica poi la fase dell'assestamento. Ci si sente ancora abbastanza demoralizzati, ma pian pianino ci si abitua alla cultura, alla lingua e a tutto cio' che di nuovo ci circonda.

- L'ultima fase e' quella si spera arrivi il piu' in fretta possibile. Quando si arriva alla zona quattro, ecco che oramai ci si e' ambientati totalmente. Non ci si sente piu' dei nuovi arrivati. Ci si sente inseriti e a proprio agio.
Chissa', magari quando si raggiunge questo traguardo, si ha gia' anche una discreta conoscenza del giapponese.

Naoko ci disse che non appena ci si trova ad attraversare la seconda fase (decisamente la piu' tortuosa ed avvilente), significa che ci si sta ambientando.
Il senso di sconforto che prende in quel momento, non e' altro che l'inizio di un assestamento che portera' all'inserimento piu' o meno completo.

Mi aggrappo alle parole di Naoko perche' mi rinfrancano un po' lo spirito.

Mi sento di aver attraversato, o di aver quasi finito di attraversare la prima fase.
Credo di essere nella zona di transito tra il primo e il secondo stadio.

Ancora non sento il rifiuto per la lingua giapponese, anzi.

Proprio come quando andai ad abitare negli Stati Uniti, attraversai un periodo in cui ci fu il totale rifiuto dell'inglese. Il suono di quella lingua mi era ostico e m'infastidiva grandemente.

Si ha la sensazione di aver fatto indigestione di quella lingua. Un po' come quando ci si abbuffa di una cosa di cui si e' golosi per poi rimanerne nauseati, a volte a vita.

Fortunatamente con l'inglese fu una ricusa solo temporanea. Ma dopo quell'avversione provvisoria, venne giu' il muro dell'incomprensione linguistica.
Non che di colpo capissi perfettamente l'inglese americano, ma insomma, le parole cominciarono ad aver sempre piu' senso.

Poi le frasi cominciarono a non essere piu' oscure. I dialoghi alla televisione. I discorsi alla radio. I film.
Da li' in avanti si tratto' "solo" di migliorare e poi perfezionare la lingua appresa.

Adesso cerco, con pazienza, di aspettare che lo stesso avvenga col giapponese, anche se con tempi indubbiamente piu' lunghi e faticosi.

Chi la dura, la vince. Cosi' recita quel famoso detto. E nei proverbi c'e' sempre un fondo di verita', allora voglio crederci.

venerdì, settembre 15, 2006

Papille gustative al settimo cielo



Mi piace mangiare, da sempre. Non snobbo quasi niente, a meno che non si tratti di uno dei (pochi, fortunatamente!) alimenti che trovo semplicemente ripugnanti.

Generalmente mi si fa felice evitando di darmi carni rosse e ovine, interiora varie, ravanelli, carciofi, radicchio, papaya e uova crude.

Per il resto mi considero una buongustaia.

Sono sempre molto incuriosita dai patrimoni gastronomici degli altri Paesi. Mi piace assaggiare piatti dai sapori singolari, "esotici" e sorprendenti.

Chi parte dal presupposto che la cucina italiana sia la migliore al mondo, sbaglia e di grosso.
Chi guarda con disprezzo cibi stranieri, non si rende conto della grande ignoranza che dimostra.

E noi italiani, purtroppo, pecchiamo spesso e volentieri di presunzione in questo senso.

Pensiamo di essere gli unici e legittimi depositari della vera cultura gastronomica.
Con superiorita' e sarcasmo consideriamo i vini di provenienza spagnola o statunitense delle emerite brosce, l'olio di oliva greco un insulto, e qualunque formaggio che non abbia avuto la fortuna di essere italiano, viene visto come una ridicola imitazione dei nostri.
Concedetemi pero' di continuare a non vedere di buon occhio il parmesan, vi prego, perche' e' assolutamente immondo.

Ma chi ci crediamo di essere?

Per l'amor del cielo, non fraintendetemi. Con questo non voglio negare le meraviglie della cucina italiana, o meglio delle varie cucine regionali che compongono il patrimonio culinario della nostra affascinante Penisola, ma insomma....un briciolo di umilta' non puo' che giovarci.

Certamente neppure io riesco a resistere al goloso profumo degli affettati, i quali vedono, nella mia pole position, salame nostrano, speck e mortadella.
E cosa dire della pasta e dei suoi migliaia di formatie tipi , uno piu' gustoso dell'altro?

Vogliamo parlare dei sughi e degli intingoli che sono diventati uno degli emblemi della nostra tradizione, all'estero? Ricordiamo il semplice ma divino binomio pomodoro e basilico, il pesto dal verde brillante..che tutto il mondo c'invidia, il leggendario ragu' di carne e molto altro ancora.

E la pizza? Un termine diventato talmente universale, che al pari con parole tipo "Coca Cola" e "OK", sono immediatamente riconoscibili in una qualunque parte del mondo.

E i formaggi? Non basterebbe un libro intero per parlarne in modo esauriente e completo.

I nostri gloriosi oli di oliva, i nostri vini, funghi, tartufi, dolci e tanto altro ancora. Bisognerebbe aprire un blog solo di cucina italiana per enumerare e lodare i magnifici protagonisti del palcoscenico gastronomico italiano.

Ma tutto cio' non puo' renderci boriosi al punto tale da pensare di essere gli unici buongustai sulla faccia della Terra.

Viaggiare, senza dubbio, e' un modo per avvicinarsi a cucine diverse e distanti dalla nostra, ma anche per chi, per motivi vari non puo' girare il mondo, esistono al giorno d'oggi molte maniere per imparare a conoscere ed apprezzare cibi di Paesi lontani.

Basti pensare alla grandissima scelta di ristoranti stranieri presenti nelle piu' grandi citta', e ora forse anche nei centri abitati piu' piccoli.

Negozietti e mini market specializzati nella vendita di alimentari non italiani, si trovano, oramai con una certa facilita'.

E non dimentichiamo Internet, dal quale e' possibile ordinare ogni sorta di prodotti, attrezzature, libri che possano aiutarci ad assaporare gusti di terre lontane.

Insomma, ancora una volta l'apertura mentale e voglia di scoprire diventano i nostri fondamentali alleati.

Ma siccome questo mio blog e' dedicato al Giappone, trovo dispersivo soffermarsi su questo discorso in modo generico, e allora andiamo a vedere un po' piu' da vicino, quali golosita' ci offre quest'antica e nobile terra.

Nella foto su in alto a sinistra, vedete raffigurata una scodella di Chashumen, una minestra di spaghettini in un saporitissimo brodo di carne, con sopra delle fettine sottili di maiale bollito.

Sono diventata talmente golosa di Chashumen, che li ho gia' ufficialmente annoverati fra i miei piatti preferiti in assoluto.

Tra le moltissime specialita' per cui la cucina giapponese e' famosa al mondo, quest'umile piatto ha saputo conquistarmi fin dal primo momento.
Ricordo di averli assaggiati anche negli USA, dove pero' non avevano lo stesso sapore che hanno qui.

La', ricordo, erano molto piu' annacquati e al brodo mancava quel qualcosa che rende il risultato finale veramente speciale.

Vi confesso di essere ancora un po' confusa in materia di noodles giapponesi. Ve ne sono di talmente tante qualita', forme e colori, che mi sento un po' spaesata e ho il timore di parlarne in modo errato.

Per evitare di toccare una marea di argomenti gastronomici, senza pero' soffermarsi su nessuno di questi in particolare, vorrei dedicare il capitoletto di oggi a questa specialita' divina, i Chashumen appunto.

La parola men, mi ricorda il termine mian (piu' precisamente, miantiao o miantiaor) , che in cinese mandarino significa spaghetti, spaghettini dalla forma sottile ed allungata.
E da li' poi mi viene in mente il corrispondente cantonese, forse piu' noto, mein.

Infatti si dice che i ramen siano stati introdotti in Giappone solo cento anni fa, e che siano in realta' di provenienza cinese.
Ma non per questo sono considerati una specialita' cinese, anzi, adesso sono diventati tipici giapponesi, in quanto in Cina pare non esista piu' un piatto equivalente ai ramen.

E' d'obbligo, pero', fare una distinzione tra i ramen secchi e venduti nei pacchetti e quelli freschi preparati nei ristoranti.

I primi sono reperibili oramai ovunque.
Negli USA se ne fa un consumo enorme. Tra i marchi piu' noti (e piu' venduti) troviamo Maruchan e Nissin.

Negli Stati Uniti, i ramen secchi (noti come instant ramen o semplicemente ramen) sono stati ribattezzati "college cuisine", cioe' cibo da universita', o meglio, cibo per poveri studenti universitari squattrinati.
Infatti gli instant ramen sono tra i prodotti alimentari piu' economici che si possano comprare in America.

Dipende dalla marca, ma in media se ne possono acquistare anche 10 pacchetti per $1. E se si e' fortunati, se ne possono comprare ancora di piu' a meno. Insomma, praticamente chiunque puo' permetterseli.

Qui in Giappone anche abbondano i pacchetti e le ciotoline di polistirolo con zuppe e minestre di ogni tipo, facili e veloci da preparare. Per quelli nei pacchetti e' necessario farli cuocere in circa mezzo litro d'acqua bollente, alla quale vengono successivamente aggiunti i dadi in polvere e altri aromi inclusi nella confezione.

A quelli nelle scodelle o bicchieri di polistirolo, e' sufficiente aggiungere dell'acqua bollente, chiudere il coperchio e lasciare che gli spaghettini cuociano per alcuni minuti prima di augurarsi "buon appetito" e sbafare la propria zuppa.

Di ramen secchi, sia nei pacchetti che nelle scodelle, ne ho visti anche in Italia, nei negozi di alimentari specializzati in prodotti orientali. Anche li' non costano piu' tanto e sono un'ottima alternativa alla solita pastina.

Attenzione pero' alle etichette. Vi sono molti spaghettini secchi in commercio che non sono ramen.
Esistono numerose varieta' di spaghettini cinesi, per esempio, che possono assomigliare ai ramen ma che non lo sono.

Inoltre, ho notato, che specialmente in Italia si trovano tanto degli spaghettini di provenienza tailandese (marca MaMa), o vietnamita.
Anche questi sono molto gustosi, ma certi tendono ad essere abbastanza piccanti, specialmente quelli tailandesi e coreani, quindi se non amate il piccante, fate attenzione.

Sempre in Italia ho visto, con una certa frequenza, spaghettini secchi marca Sapporo Ichiban, una ditta statunitense che produce ramen, yakisoba, udon dal sapore giapponese, a prezzi molto contenuti.
A me, personalmente, di quella marca piacciono molto i Kitsune Udon, con la confezione blu e le scritte arancioni e bianche.

Se v'interessa l'argomento ramen, esiste persino un sito interamente dedicato a questa delizia e si chiama World Ramen.

Dei ramen preparati nei ristoranti non posso che parlarne con piu' riverenza e rispetto. Ma non solo in riferimento ai ramen, ma a tutti gli altri spaghettini e tipi di minestre che vengono preparati sul momento, con l'utilizzo di ingredienti freschi e genuini.

I miei adorati Chashumen sono, come vi dicevo, ramen in un gustosissimo brodo di carne. Sopra vengono adagiate delle fettine di maiale bollito o arrosto, ancora non ho ben capito.
Vengono inoltre aggiunte cipolline verdi tagliate fini fini, fettine sottili di bambu' e altre cosine ancora, dipende dal ristorante.

Qui in zona, dove abitiamo noi, c'e' un noodle shop dove andiamo ogni tanto ad assaggiare qualche delizia.
Da quando siamo arrivati in Giappone, ho assaggiato diversi tipi di spaghettini, tra cui molti tipi di Chashumen, ma i migliori in assoluto sono quelli che preparano in questo ristorantino del nostro quartiere.

Sono talmente buoni, che mentre li assaporo non mi viene in mente nient'altro che possa essere piu' delizioso di questa semplice ma nobile zuppa.

A fine pasto, proprio come mi e' successo ieri sera mentre sbafavo compiaciuta un'abbondante scodella di Chashumen fumanti, mi ritrovo sempre con gli occhiali appannati e il viso tutto sudato, ma non importa. La pancia e' piena e mi sento soddisfatta.

La foto che ho messo su in alto non e' mia. L'ho trovata su Wikipedia. Vorrei pero' fotografare un piatto dei miei Chashumen preferiti e metterli in questa pagina. Rimediero' al piu' presto.

Intanto, buon appetito a tutti e non abbiate paura di assaggiare le squisitezze che il mondo ha da offrirci, a cominciare da quelle giapponesi di cui pian pianino vi parlero' in modo piu' esauriente, spero.

giovedì, settembre 14, 2006

Perennemente in mezzo alla folla

Un bel po' di tempo fa lessi un libro dove veniva raccontata un'esperienza di viaggio in Vietnam.
Una delle cose che mi colpirono di piu' fu quando l'autore (o autrice, non ricordo) disse che la' il concetto di privacy non esiste.

Nella lingua vietnamita manca, addirittura, una parola che traduca, seppur a grandi linee, il significato del suddetto concetto.

Raccontava di come i vietnamiti, fin da una tenerissima eta', siano sempre abituati a stare insieme, sia che si tratti di famigliari, amici, conoscenti o colleghi di lavoro, poco importa chi. Cio' che importa e' non stare mai soli.

Non so se questo atteggiamento sia dovuto ad una mentalita' che incoraggia la condivisione degli spazi...un modo, forse, che nasce dalla necessita' viste le dimensioni limitate di questo Paese cosi' sovrappopolato.
Probabilmente, nella loro societa', anche volendo risulta pressoche' impossibile ritagliarsi uno spazio proprio dentro il quale poter stare in santa pace.

O forse e' un atteggiamento nato dal continuo clima d'instabilita' politica in cui si trova il Vietnam da molto tempo, ormai: lo stare uniti dona conforto nei momenti difficili. Si ha sempre qualcuno a cui poter chiedere aiuto, a cui chiedere in prestito una tazza di riso o una coperta.

Il motivo per cui mi e' venuta in mente la societa' vietnamita e' perche' vorrei scrivere alcune riflessioni su quanto abbiamo visto (vediamo e vedremo) qui.

Come si sa, il Giappone e' uno dei Paesi piu' popolati del mondo, specialmente se si considera lo spazio limitatissimo in cui si trova a dover vivere tutta questa gente.
Le statistiche demografiche attuali parlano di 127,810,000 abitanti, di cui solo l'1 o 2% e' costituito da stranieri (per la maggior parte provenienti da altri Paesi dell'Asia).

La superficie del Giappone e' di poco meno di 146,000 m2, quindi non e' molto lo spazio a disposizione. Se si pensa che solamente a Tokyo, la capitale, vi abitano 30 milioni di persone, immaginate cosa si vede per le strade (e non solo nella capitale eh!), negli aeroporti, nelle stazioni, negli uffici postali, banche ecc.: una folla quasi continua.

Una folla resa ancora piu' densa dalla mancanza di spazio.

Dovunque si vada, si vede sempre e solo tanta tanta tanta gente. Sembra di trovarsi sempre in mezzo a qualche corteo o manifestazione, mentre invece si tratta di una giornata come un'altra, in cui milioni di cittadini si spostano da un lato all'altro della citta', o da una citta' all'altra, per lavoro, studio, piacere e cosi' via.

L'altro giorno, quando stavamo andando a Yokohama, facevo alcune considerazioni di questo genere mentre ci trovavamo in una delle fitte folle di persone che scendono dal treno, che cercano di salire al piano di sopra della stazione per andare a prendere la loro prossima coincidenza.

Quando si scende dal treno e' incredibile come ci si trovi in mezzo ad una fiumana di gente la quale, in modo disciplinato ed ordinato si mette in fila per salire le scale oppure per andare sulle scale mobili.

In questa parte del Giappone e' consuetudine salire le scale tenendosi sempre sulla sinistra (idem con le scale mobili), per dare la possibilita' a chi va di fretta di poter andare piu' velocemente senza urtare gli altri.

Leggevo da qualche parte che ad Osaka, invece, si sta sulla destra.

I primi tempi non viene naturale stare allineati sulla sinistra, ma viene da stare in mezzo o dove capita, pero' poi quando ci si sente spintonare dai passeggeri che stanno per perdere il treno, allora ecco che s'imparano le regole del gioco e ci si adegua.
Adesso ci viene naturale seguire quest'abitudine.

Col tempo ci si abitua abbastanza all'enorme numero di persone in giro per le strade, uffici e negozi.
Agl'inizi provavo un misto di curiosita' e contentezza nel vedere tutte queste persone, ma provavo anche un leggero senso di ansia.

Adesso ho notato che non mi entusiasmo piu' di tanto nel vedere milioni di individui che salgono su un treno o che fanno la fila ad uno sportello. Non mi viene nemmeno l'ansia o il nervoso.
A volte mi sento un po' soffocare, specie sul treno, pero' non mi sento come se stessi per perdere le staffe o dare in escandescenze.

Penso sia difficile a credersi, ma pure in mezzo a tutta questa folla, ci si sente calmi e relativamente tranquilli. Si sa che prima o poi arriva il proprio turno e quindi si fa la fila con pazienza, senza bisogno di lanciare maledizioni e vituperi alla persona davanti a noi.

Da quel che abbiamo potuto notare, questa calma deriva da un rispetto generale per il prossimo e dall'osservanza delle regole basilari della societa'.

Anche qui, indubbiamente, ci saranno i furbastri che tentano di passarti davanti con molta nonchalance, ma generalmente ho constatato che la maggior parte delle persone attende il proprio turno senza aguzzare l'ingegno per rubarti il posto.

Negli USA il fenomeno delle grandi folle si verifica raramente. Innanzitutto i grandi spazi americani consentono a milioni di persone di spostarsi senza pestarsi i piedi vicendevolmente.

Capita di trovarsi in posti particolarmente affollati in situazioni non di ordinaria amministrazione, tipo un corteo, un concerto oppure in un grosso magazzino che fa i saldi (tipica e' la scena che si profila davanti ai Macy's, JCPenney's e altri, il giorno dopo Thanksigiving Day, quando ha luogo la grande svendita del dopofesta).

Anche in luoghi tipo lo Zoo o in un museo puo' succedere di incontrare un grosso numero di persone, ma solitamente dovunque si vada, si gode del piu' ampio spazio e privacy.

In Italia ricordo, tra i posti piu' affollati: gli uffici postali, i sabati (e ora anche le domeniche) nei grandi centri commerciali e in coda alle casse, le banche poco prima della chiusura o della pausa pranzo, le vie del centro di domenica e altri luoghi molto frequentati nei fine settimana.

La folla che quotidianamente si trova in Giappone quasi ovunque e' molto diversa (e molto piu' grande) di quella italiana.
Eppure in Italia la gente in coda si spazientisce molto in fretta. Basta essere in tre o quattro persone in fila dal panettiere che gia' senti quelli dietro che sbuffano, si agitano, iniziano a lamentarsi, si fanno aria col volantino del supermercato e avanti di questo passo.

Basta essere poi pochi di piu' in coda al supermercato dove c'e' una cassiera particolarmente lenta, e apriti cielo! Immancabili e puntuali come orologi svizzeri sono le mezze scenate che amano fare i pensionati: si scompongono, cominciano a fare commenti piu' o meno sarcastici, minacciano di andarsene o di rivolgersi al direttore ecc.

Ci sono poi sempre i soliti furbi che con una grandissima faccia tosta ti passano davanti, senza dirti ne' "ah" ne' "bah". Come facciano, me lo domando ancora adesso.
Io mi vergognerei da morire a rubare il posto a qualcuno e riuscire, al tempo stesso, a mantenere uno sguardo serafico ed innocente.

Questione di carattere (o maleducazione), credo.

Eppure non credo di essere un sommo esempio di pazienza.
Sono una che perde le staffe facilmente, strilla e sbatte le porte per un nonnulla, pero' insomma, fuori cerco di mantenere sempre la calma, anche quando verrebbe piu' semplice mandare due o trecento anatemi alla commessa (o cliente) particolarmente tonta e dura di comprendonio, che per causa sua sta bloccando una folla di clienti isterici in un negozio.

Non credo che i giapponesi siano persone migliori (o peggiori) di noi. E' solo che hanno imparato a farsi furbi e hanno capito che senza il mutuo rispetto delle regole del buonsenso, ci vuole davvero poco a trovarsi in un marasma in cui vige solo la legge dell'anarchia...un'anarchia che distruggerebbe, in men che non si dica, tutto cio' per cui hanno faticato tanto ad ottenere.

Non oso immaginare cosa sarebbe il Giappone senza la disciplina dei suoi cittadini, e non solo quando si sta in coda, ma anche l'instancabile collaborazione che questi offrono quotidianamente nel dividere meticolosamente la spazzatura per il riciclaggio di alcuni materiali, nel rispetto piu' totale della tabella di marcia dei giorni di raccolta dell'immondizia.

Non oso immaginare cosa sarebbe il Giappone senza la volonta' che i cittadini dimostrano nel voler mantenere i propri quartieri puliti e in ordine.

Salvo pochissime zone dall'aspetto malfamato, e' difficilissimo incontrare edifici imbrattati dai graffiti, quella piaga che tormenta da sempre tutte le citta' del mondo.

Sui graffiti e' meglio che non dica niente, perche' mi viene una rabbia indescrivibile.
Quando vedo gli antichissimi edifici storici e monumenti della mia citta' natale, Torino, per la maggior parte rovinati da orride scritte, m'inalbero come pochi.

Mi verrebbe voglia di appostarmi per beccare in flagrante questi vandali che magari hanno pure il coraggio di spacciarsi per artisti. Tsk!

Per loro i muri sono come tele? Benissimo, che vadano ad usare le "tele" delle carceri..anche li' ci sono muri, no? Ah gia' ma...le carceri italiane sono talmente affollate che figurati se oramai si va a finire in gattabuia per una "quisquilia" del genere.
Oramai ti trovano le attenuanti piu' ridicole pure se ammazzi padre e madre..ma lasciamo perdere.

Questo non e' un blog sul malcontento di noi italiani. Sarebbe senz'altro un ottimo argomento, che pero' probabilmente non risolverebbe nulla e provocherebbe solo tanta rabbia e sangue amaro in chi si e' gia' incavolato abbastanza.
Anche noi italiani all'estero subiamo il malcontento che serpeggia nel nostro Paese d'origine, strano ma vero!

Chiudo questa parentesi infiammata che e' meglio.

Tornando al Giappone e al discorso sulla folla, vorrei inoltre riportare alcuni elementi interessanti che ci vennero insegnati al corso d'introduzione alla cultura giapponese che abbiamo frequentato la seconda settimana dopo il nostro arrivo.

Ci e' stato detto che, essendo i giapponesi cosi' in tanti, vige una forte gelosia dei propri spazi, impreziositi dall'elevato numero di persone in questo Paese.
Pur essendo cosi' numerosi, i giapponesi, pare che a differenza dei loro vicini vietnamiti, non rinuncino a ritagliarsi un angolo di tranquillita' e privacy dove poter staccare un po' la spina e prender fiato.

Non sembra ma, anche qui in Giappone la folla stanca dopo un po' e si anela a luoghi e spazi aperti, privi del trambusto cittadino.

E allora ecco che si assiste, con aria incredula e sbalordita, ad uno spettacolo che penso sia estremamente significativo in questo senso: sui treni e sulle metropolitane, pur essendo quasi sempre pienissimi, regna il silenzio piu' TOTALE!

Treni da 15-20 carrozze l'uno, stipati di persone che non proferiscono parola l'una con l'altra.
Un silenzio inaspettato e che coglie noi stranieri alla sprovvista, facendoci subito riconoscere col nostro chiacchierio e le nostre risatine sommesse.

Ci si accorge in fretta di essere gli unici, o quasi, a parlottare e a disturbare la quiete del treno.
E allora s'impara a fare come i giapponesi, e cioe' a stare zitti.

Ai giapponesi, fin da bambini, viene insegnato che sul treno si sta composti e in silenzio. Non si mangia, non si beve e i cicalecci non sono ammessi.

Infatti, sia sui treni che sulle metropolitane, si vedono i giapponesi che, in silenzio, prendono posto oppure stanno in piedi. Per passare il tempo dormicchiano, leggono libri e manga, smanettano coi telefonini a cui e' stato tolto il suono.

Capita quella volta ogni tanto di vedere qualcuno che tranquillamente parlotta, mangia e disturba, allora viene da chiedersi se si stia trattando di un giapponese molto maleducato oppure di uno straniero non al corrente delle consuetudini del posto (o di uno straniero incivile che se ne infischia delle buone maniere).

Oramai, sia mio marito che io abbiamo imparato a stare in silenzio sui treni. Lui guarda fuori e rimane assorto nei suoi pensieri, mentre io preferisco leggere.
Sui treni giapponesi ho finito da poco un libro sui fantasmi e gialli insoluti della Venezia antica.

Fa un certo effetto leggere descrizioni di una calle infestata ed oscura, campi, chiese, dogi e nobildonne mentre si viaggia in questa singolare atmosfera dei treni nipponici.

Dimenticavo: da Costco, ieri, sembrava di essere in un altro Paese. Sembrava di essere negli ipermercati americani, con tutto quello spazio. C'era pure poca gente, il che sembrava ancora piu' difficile a credersi.

Costco: un mondo a se'

Come ho gia' accennato in precedenza, m'incuriosivano i prezzi del parmigiano da Costco, grossa catena americana di ipermercati, specializzati nella vendita all'ingrosso di generi alimentari e non.

La Costco e' paragonabile alla Metro italiana. Entrambi vendono prodotti in confezioni gigantesche o formato famiglia, a prezzi da ingrosso, ed entrambi accettano solo soci tesserati.

Sia mio marito che io, alcune settimane prima di partire, abbiamo fatto la tessera da Costco negli USA, una tessera peraltro universale ed utilizzabile in tutti gli ipermercati della catena, in una qualunque parte del mondo.

Ci siamo decisi ad andare alla Costco piu' vicina da noi...."vicina" e' meglio che lo metta tra virgolette, visto che ci sono voluti 40 e passa minuti buoni buoni di auto per arrivarci!
E' vero che era gia' buio e in piu' pioveva, quindi c'era piu' traffico e abbiamo viaggiato piu' lentamente, ma e' comunque una distanza non indifferente.

Siamo arrivati in una zona molto aperta e spaziosa, cosa abbastanza rara qui in Giappone dove lo spazio e' prezioso e sfruttato al massimo.
L'imponente edificio della Costco troneggiava da una collinetta, circondata da alberi e praticelli.

Siamo rimasti alquanto sorpresi dopo esserci resi conto che l'ipermercato, sia all'esterno che all'interno, e' preciso identico ai Costco negli States.
Persino la disposizione delle corsie e' la medesima!

La maggior parte dei prodotti in vendita sono statunitensi, ma ovviamente tanti sono i prodotti nipponici, in particolar modo la frutta e la verdura (ho visto dei peperoni di Hokkaido dai colori piu' brillanti di quelli di una rivista di fotografie!!), molti condimenti, riso, sottaceti, ecc.

Ma di americano c'era quasi tutto: scatolame, pasta, surgelati, cosmetici, prodotti per l'igiene personale, casalinghi, detersivi e compagnia bella.

Addirittura abbiamo trovato dei prodotti italiani alquanto inaspettati, tipo (italiani nel Sol Levante...udite udite, anzi leggete leggete): gli gnocchi Antonio Amato, il caffe' Illy ad un ottimo prezzo direi (¥900 e rotti, poco meno di $10 insomma), antipasti vari sempre di provenienza italiana (carciofini sott'olio, pomodori secchi ecc.), persino la ricotta S.Lucia e le mozzarelle fresche marca Zanetti!

Inoltre c'erano anche vaschette assortite di affettati Citterio, e last but not least, il re dei formaggi, il Parmigiano.

Purtroppo la ricotta e le mozzarelle hanno dei prezzi troppo esosi.
Una confezione da due vaschette di ricotta veniva sui ¥1000 e rotti, e le mozzarelle (3 di numero!) ¥1200 e passa!! Gasp, supergasp e arcigasp!

Beh...bisogna considerare il viaggio che si fanno questi formaggi per arrivare fin qui, specialmente la ricotta e la mozzarella che sono decisamente piu' deperibili del parmigiano sottovuoto.

Consideriamoli dei generi di lusso da acquistare una volta ogni tanto.

Nonostante tutto, continua a stupirmi il prezzo del parmigiano, formaggio gia' di per se' caro anche a casa sua, quasi improponibile negli USA e qui in Giappone (da Costco eh!) viene ¥255 l'etto.
Abbiamo comprato un pezzo da 600g abbondanti, anzi direi che sono 6 etti e mezzo, a ¥1600 circa, un prezzo imbattibile se si prende in considerazione che sabato, giorno delle lasagne, da Daiei un pezzettino finissimo (dev'essere stato per forza meno di un etto) e' costato quasi ¥600!!

Insomma, sono molto soddisfatta. Peccato che quest'ipermercato sia cosi' lontano, ma almeno sappiamo dove trovare questi prodotti.

Come gia' dicevo in precedenza, mi piace molto assaggiare la cucina locale, ma ogni tanto ho una voglia incontrollabile di piatti italiani, e quindi diventa molto importante sapere dove acquistare certi prodotti, senza farsi spennare possibilmente.
Proprio come quando abitavamo negli USA dove avevo i miei "punti strategici", ovvero negozi che conoscevamo e dove trovavamo cose italiane non a prezzi esagerati, anche qui sto cercando di fare la stessa cosa.

Italiane a italiani lettori (assidui, si spera!) del mio blogghino, se vi trovate qui in Giappone, e cercate prodotti americani / italiani e giapponesi a meno, andate a farvi la tessera da Costco.
La tessera GOLD, valida per un anno, costa ¥4200. Negli USA noi l'avevamo pagata un po' di piu', $50.

La tessera GOLD e' quella piu' comune penso, per marito e moglie o famiglie piu' o meno numerose.
Non so qui, ma negli USA con la GOLD si poteva richiedere una tessera extra (gratis!) per la moglie, o figlio, sorella ecc. , anche perche' le tessere non sono trasferibili, visto che dietro hanno la fotografia del titolare, quindi non si puo' andare a far la spesa con la tessera di un'altra persona.

Offrono inoltre la tessera BUSINESS mi pare, che stranamente costa meno, sui ¥3700, ma, come viene spiegato sul sito www.costco, e' necessario fornire dei documenti che comprovino l'esistenza di una propria attivita' commerciale.

Insomma, se volete semplicemente acquistare qualcosina o se siete in tanti e vi converrebbe di piu' comprare in grosse quantita', Costco fa certamente al caso vostro.
Fate anche un po' di passaparola se avete degli amici statunitensi (se non possono fare acquisti nelle basi militari). Ve ne saranno molto grati!!!

Ah dimenticavo! Proprio come nei Costco americani, anche in quelli giapponesi, verso l'uscita c'e' una specie di tavola calda dove fanno pizza (american style, purtroppo), hot dog, insalate, panini, bibite varie, granite, gelati e persino i churros messicani!!!

Abbiamo assaggiato la pizza e ha lo stesso identico sapore di quella tipica americana, unta e bisunta che si trova da Domino's, Papa John's, Pizza Hut ecc.
Abbiamo preso una granita al mango...buonissima! E..neanche a dirlo, due churros caldi cosparsi di zucchero e cannella!! Favolosi!!

Bene, dopo tutta questa pubblicita' gratuita che ho appena fatto alla Costco, mi auguro che come minimo ci spediscano due o tre buoni spesa da cinquemilamiliardi di ¥ l'uno! Scherzo, ovviamente....mi accontento di un buono spesa piu' modesto!

martedì, settembre 12, 2006

Inaspettatamente a Yokohama Chukagai



La vita, quando vuole, sa essere piena di sorprese!

Giusto ieri mi stavo un po' rammaricando per il fatto che il nostro giretto a Yokohama Chukagai (Chinatown) fosse dovuto saltare un'altra volta.

E invece....ieri all'ultimo momento abbiamo saputo che dovevamo recarci a Yokohama per sbrigare una commissione, ma non sapendo a che ora ci saremmo disimpegnati e soprattutto se ci sarebbe stato abbastanza tempo per capire come arrivare a Chinatown (perche' non e' molto semplice il tragitto), siamo andati dritti spediti dove dovevamo andare, senza prima fare troppi progetti.

Ma nel giro di breve tempo siamo arrivati a Yokohama e poco dopo avevamo gia' trovato l'ufficio che cercavamo.

Vicino alla stazione di Yokohama, in un giorno di pioggia:


Eravamo liberi di decidere cosa fare, visto che erano appena le 17 e avevamo ancora alcune ore per andarcene a spasso.

All'interno della stazione di Yokohama, che peraltro e' gigantesca e perennemente affollata, abbiamo trovato per purissimo caso una Little Italy! Purtroppo non ci sono negozietti di alimentari, ma solo ristorantini e mini pizzerie.

Il tutto e' all'interno di uno dei milioni di corridoi che compongono il mastodontico edificio della stazione principale di questa grande metropoli.

Ma avevamo troppa voglia di ritornare a Yokohama Chukagai (Chinatown) e di gustare un po' di buona cucina cinese e quindi siamo andati a chiedere un aiutino al box informazioni della stazione, per come fare ad arrivare a Chinatown.

Per arrivare a Chinatown, bisogna per forza prendere la metropolitana.

Sempre all'interno dell'edificio della stazione, andando nel sotterraneo, si puo' accedere alle varie linee della metropolitana.


Sottopassaggio che porta alla metropolitana - Yokohama

Da Yokohama bisogna prendere la metropolitana della linea Minato-Mirai, e dopo circa 5 fermate si arriva a quella dove bisogna scendere, ovvero Motomachi Chukagai.

Usciti dalla stazione, bisogna girare a sinistra e andare sempre dritto. Dopo pochi metri si cominciano a sentire nell'aria i profumi irresistibili della cucina cinese.
Si scorgono le nuvole di vapore provenienti dalle ceste di bambu' in cui cuociono lentamente deliziosi baozi, grossi panini bianchi farciti con ogni sorta di ripieni saporiti.

Le insegne luminose su cui risaltano coloratissimi caratteri cinesi, ci fanno capire, senza ombra di dubbio, di essere arrivati nel posto giusto.

Appena entrati a Chinatown, ho avuto come l'impressione di essere appena salita su di un grosso palcoscenico dove, tutti i giorni, si svolge un coloratissimo spettacolo.

E' impossibile riuscire a vedere tutto. Chinatown e' un quartiere abbastanza grosso, in cui ogni singolo cm 2 e' occupato da un negozio, da un ristorante, da una bancarella e persino da mini alloggi ai piani di sopra.

I lati della strada principale di Chinatown si diramano in tanti vicoletti, alcuni bui e un po' solitari, e altri pieni di vita e in festa.
Luminosi lampioni di carta rossa e gialla adornano le entrate dei ristoranti, delle botteghe, delle facciate dei palazzi che vogliono ricordare l'antico splendore imperiale di quella capitale, considerata nell'antichita', essere la piu' bella e affascinante del mondo: Pechino.

Statue dorate raffiguranti draghi irosi e leoni imperiali dall'aria minacciosa e feroce, troneggiano all'entrata di ristoranti e hotel.

Non e' difficile venire avvicinati dai dipendenti di alcuni ristoranti / botteghe che per invogliarti ad andare a mangiare da loro, ti fanno assaggiare ora questo e ora quello.
Ieri queste persone camminavano su e giu' con grosse ceste di castagne bollite, che io adoro.

Castagne fumanti che accolgono trepidanti l'arrivo dell'autunno.

Il cuore mi scoppiava di gioia e contentezza. Ero felice di essere li'. Camminavo un po' col naso all'insu', cercando di catturare con lo sguardo e far mie immagini di edifici sapientemente decorati, hanzi sfavillanti e colorati...alcuni a me familiari e altri misteriosamente arcani.

Ogni tanto appaiono bottegucce stipate di scatoline di te', vasi contenenti erbe e radici ed altri rimedi della Zhongyao, l'arte dell'erboristeria cinese nonche' la piu' importante branca della medicina tradizionale della Cina.
Da questi negozietti esce un effluvio di cose antiche, di una sapienza e conoscenze remote e segrete, di medicinali ed unguenti balsamici.

Mobili antichi e ricoperti da grigiastre coltri di polvere, racchiudono pergamene, libri e volumi ormai ingialliti dall'inesorabile passare del tempo, che pero' ne risalta la preziosita' e il valore.

Ogni tanto vedevo piccole drogherie dove si puo' trovare di tutto, dalle spezie piu' rare ed oscure fino ad arrivare a serie di varieta' infinite di spaghettini, riso, te', frutta, verdura, salse, condimenti vari e molto, ma molto altro ancora.

La nostra passeggiata esplorativa di Chinatown e' stata resa ancora piu' emozionante dalla mancanza di un percorso predefinito da seguire. Ci siamo fatti guidare dal caso.
A turno decidevamo dove andare e che vicolo imboccare.

Nelle viuzze piu' nascoste ma luminose, abbiamo visto minuscoli ristoranti di capienze microscopiche ma forse, proprio per questo, ancora piu' affascinanti dei grossi ristoranti un po' altezzosi, i cui imponenti edifici spadroneggiano sulla via principale del quartiere.

In ogni angolo c'era qualcosa che bolliva in una qualche pentola. Statue ed immagini religiose e propiziatorie adornavano anche i muri piu' solitari e scuri.

Brillanti nodi rossi cinesi della fortuna penzolavano ora di qua' e ora di la', delicatamente cullati da un venticello tranquillo che, come uno spirito bonario ed invisibile, percorreva tutte le stradine del quartiere.

Da un lato, si profilo' ai nostri occhi una strada, un po' piu' spaziosa delle altre, caratterizzata da tanti lampioncini cinesi di carta gialla che emanavano una luce fievole ed enigmatica.


Il nostro stomaco, ad un tratto, ha cominciato a brontolare e reclamare qualche delizia cinese. La scelta di un ristorante, in un luogo come questo, e' impresa ardua.

Dovunque ci si giri, i propri occhi incontrano invitanti ristorantini dalle vetrine altrettanto allettanti, in cui sono esposte fedelissime riproduzioni in plastica dei piatti e delle specialita' servite nel locale in questione.

Non appena eravamo sicuri d'aver trovato il posto giusto dove rifocillarci con gran piacere, ecco che poco piu' in la' intravedevamo un altro localino ancora piu' invitante del precedente.

E' in questo clima d'indecisione, di crescente appetito misto a curiosita' e voglia di scovare il ristorante "migliore di tutti" che finalmente siamo approdati, sempre per puro caso, in un localino a due piani dove, all'entrata, giovani cameriere ci hanno accolti con molta affabilita'.

Io ero un po' accigliata poiche' avrei voluto andare nel ristorantino accanto, ma mio marito era incuriosito dal suddetto locale e cosi' ho ceduto. E ho fatto bene, anzi benissimo.

Abbiamo mangiamo splendidamente bene e abbiamo speso una cifra a dir poco irrisoria. Le portate continuavano ad arrivare senza sosta, ed ogni piatto era una piacevole scoperta o riscoperta.

Saporite zuppe, coloratissimi piatti di riso alla cantonese, fragranti verdure miste saltate in padella, raffinati dian xin (noti anche col nome cantonese di dim sum - antipasti e fagottini misti farciti di carne, verdure, pesce), spaghettini trasparenti di riso in brodo, e tanto altro ancora.

Ogni singolo piatto era piu' squisito dell'altro. Era difficile decidere quale fosse il migliore.
Siamo andati via, soddisfatti e con la pancia piena, giurando di ritornare, anche se so gia' che la prossima volta che ci ritroveremo a Yokohama Chukagai, lo charme irresistibile di questo incantevole quartiere, ci spronera' a tornare alla ricerca di un altro angolino di paradiso culinario...cinese ovviamente!